Gli storici dell’aviazione italiana non hanno mai parlato di Vincenzo Raschellà, nato il 25 settembre del 1863 a Caulonia, provincia di Reggio Calabria, e spetta quindi alla stampa scientifica americana l’onore di averlo tratto dalla oscurità, in cui si era volontariamente immerso, per mostrarlo agli occhi dei contemporanei come un pioniere dell’aviazione degno della massima considerazione. Un uomo che, per circa dieci anni, dal 1885 al 1895, si è dedicato alla ricerca dei mezzi migliori per poter volare, con perspicacia e fervore ammirevoli, non merita di morire ignorato da tutti e pertanto la rivista Science and Invention, che ha esaminato diligentemente tutti i suoi documenti, lo presenta al pubblico di tutto il mondo, (ed a noi italiani in particolare), perché si sappia che egli, Vincenzo Raschellà è stato un precursore degli stessi fratelli Wilbur ed Orville Wright, creatori del primo aeroplano che ha spiccato il volo a Kitty Hawk il 17 dicembre 1903. Il venticinquesimo anniversario di questo volo famoso è stato celebrato nel 1928 e tutte le nazioni civili hanno reso omaggio ai due aviatori americani, che l’avevano reso possibile, ed a così breve distanza di tempo, (1930) , senza detrarre nulla al merito dei loro connazionali, gli stessi americani esaltano un italiano che diciassette anni prima dei Wright lavorava per la soluzione del difficile problema della viabilità aerea, servendosi di apparecchi più pesanti e meno pesanti dell’aria. Una storia da romanzo. Nella notizia che Science and Invention dà di questo pioniere dell’aviazione, si parla di «storia romanzesca», di «esperimenti da far venire i brividi» e di «fatti interessantissimi dal punto di vista umano e scientifico, di un valore assolutamente storico». Vincent Raschellà, è stato invitato a visitare gli uffici editoriali della Science and Invention ed è qui che si è deciso a spezzare il silenzio che aveva mantenuto per tanti anni, per la sua innata modestia. Ha esposto i particolari dei suoi esperimenti giovanili fatti in Italia, nella remota Calabria.
Raschellà ha parlato di fatti, corroborati da documenti di autenticità evidente, senza alcun fine di gloria o di notorietà, e bastano le sue stesse parole per illustrare il suo spirito inventivo e le cause del mancato successo “Da ragazzo, quasi per istinto naturale era stato attratto da tutto ciò che aveva un’attinenza con l’aeronautica”. Si recò giovanissimo a Roma per studiare disegno, ma impiegava tutto il tempo disponibile per apprendere la vita di tutti coloro che avevano contribuito ai primi sviluppi dell’aeronautica, da Leonardo da Vinci a Montgolfier da Pilatre de Rozier a Nadar. Sui tentativi fatti, egli si è espresso nel modo seguente: “Nel 1885 costruii il mio primo aquilone. Era un telaio bislungo di bambù ricoperto di tela, di circa tre metri per uno e mezzo. Dal centro penzolava un trapezio, al quale mi aggrappai con le mani quando saltai da una balza per tentare il primo volo. Descrissi una breve traiettoria per terra e caddi in piedi a breve distanza. Alla seconda prova l’atterraggio non è stato tanto favorevole; il telaio si ruppe e mi slogai il piede sinistro. Dopo qualche tempo costruii un altro aquilone, simile al primo, ma non ho avuto risultati migliori. Dopo un certo numero di vani tentativi con gli aquiloni, mi sono reso conto dell’impossibilità di poter volare in questo modo e mi diedi alla ricerca di mezzi che offrissero maggiore stabilità e che potessero essere usati con una forza motrice. «Il pallone con le ali di pipistrello»
Con questa idea in mente ho creato più tardi un apparecchio simile agli aquiloni precedenti, sostenuto da un pallone a forma di sigaro, fatto di tela foderata con carta velina. Trattai la tela con una soluzione di cloruro di cilicio, solfato di ferro e allume, per renderla incombustibile. Questo pallone con le due punte acuminate misurava circa 13 metri di lunghezza, 4 metri di larghezza e 3 metri di altezza. II nuovo velivolo era completato da due ali, simili per forma a quelle di un pipistrello, due pedali, sedile, leva, pulegge e due eliche, che dovevano essere mosse con la forza dei piedi. Le ali potevano essere aggiustate curvandole. Per gonfiare il pallone usai aria calda, prodotta bruciando la paglia umida. Il 25 settembre 1889, giorno del mio ventiseesimo compleanno, ho fatto il primo volo con quest’apparecchio, partendo dalla sommità della balza usuale. Il volo è stato un vero successo, poiché coprii la distanza di circa duecento metri ed atterrai presso un grosso albero di albicocche. Avrei potuto volare più lontano, ma il luogo dei miei esperimenti era una collina di un fondo di mio padre, chiamato Scrongi, ed il terreno circostante era inclinato in modo tale che l’unico punto su cui si poteva atterrare era lo spazio vicino all’albicocco. Dopo questa prima prova ho fatto altri voli, alcuni dei quali riuscirono veramente ottimi. Data la limitazione dello spazio a mia disposizione, i miei voli di resistenza consistevano nel girare intorno descrivendo piccoli cerchi ed in questo modo riuscii a mantenermi in aria anche per quaranta minuti. Chiamai il mio velivolo: «Il Falco». Verso la fine di ottobre, dello stesso anno, durante uno dei miei voli un lato del pallone si apri, lasciando uscire l’aria calda, e tutto l’apparecchio cascò a terra. Immediatamente dopo costruii un altro modello più grosso, della forma di una grossa farfalla, con le ali coperte da un doppio strato di tela. Tanto il pallone che le ali dovevano essere riempiti di idrogeno, in modo che la forza di sollevamento del gas avrebbe controbilanciato il peso della struttura. Cosi, con le sue ali distese, l’apparecchio, avrebbe potuto mantenersi in aria come un moderno monoplano. In quell’epoca i motori aerei non erano conosciuti, quindi cercai di studiare il dono naturale degli uccelli che volano. Ho esaminato che alcuni uccelli quando volano, fanno evoluzioni e cambiano altezza senza muovere le ali e così cercai di imitare la natura utilizzando le varie correnti dei venti”.
L’IDEA DEL MOTORE
“Nei 1893 mi è venuta l’idea di utilizzare un motore, una specie di turbina mossa dalla forza di un esplosivo. Ho preparato il disegno, che conservo ancora, ma l’idea non è stata realizzata perché mi mancava il denaro necessario per la costruzione di questo motore. Certamente oggi, col progresso moderno, i miei disegni dovrebbero essere rifatti, ma ormai non è più il caso di parlarne. Dirò semplicemente che il progetto comprendeva due turbine con due alberi, uno dentro l’altro, ciascuno fornito di elica. Allora non si conosceva la benzina ed io pensai anche di utilizzare come carburante l’alcool o l’idrogeno compresso. I miei disegni prevedevano il raffreddamento ad acqua, serbatoio e radiatore, un sistema di pompe per la lubrificazione e tante altre cose. I motori erano destinati a funzionare alternativamente: quando uno si riscaldava molto, l’altro doveva cominciare a funzionare automaticamente. Ho quindi preparato i mici piani completi per la costruzione di un dirigibile, che chiamai «Ital-aereo », che doveva essere mosso da tale motore. Ero talmente convinto del successo del dirigibile, che cominciai a prevedere il suo uso in tempo di guerra. E così disegnai anche una bomba aerea, da lanciare attaccata ad un paracadute, provvista di una lancia fissa, che doveva conficcarsi a terra e mantenere la bomba all’altezza del torace di un uomo, come una piccola fortezza che scaricava centocinquanta pallottole in tutti i sensi e poi, per mezzo di una carica separata, esplodeva rompendosi in piccoli pezzi. Fino ad allora avevo mantenuto tutto segréto. Ad eccezione di alcuni intimi amici, dei parenti e di mia madre, che mi aiutava a cucire le tele, nessuno sapeva nulla dei miei esperimenti. In quell’epoca la gente mi avrebbe messo in ridicolo per le prove che facevo e mi avrebbe considerato come un pazzo. Nel dicembre del 1894 ritenni di avere accumulato sufficiente materiale per farmi conoscere e cosi raccolsi tutti i miei piccoli modelli, i disegni e le descrizioni e chiesi il parere del mio insegnante, il prof. Cesare Mariani, presidente dell’Istituto di Belle Arti a Roma. Col suo appoggio fui presentato al Ministro della Guerra, al quale sottoposi i miei piani e la mancanza di mezzi. Ebbi interviste e dibattiti, feci dimostrazioni pratiche in presenza dei tecnici governativi, ricevetti promesse ed adulazioni, ma fino a quel giorno i miei esperimenti mi erano costali circa 23.500 lire, che rappresentavano in quell’epoca una forte somma di denaro. Poiché ero rimasto senza fondi disponibili, mi rivolsi, su indicazione del mio ex professore, al Governo e al Principe di Napoli, poi divenuto Vittorio Emanuele III Re d’Italia, ma non ricevetti alcun aiuto. Nonostante le prove fatte, le dimostrazioni e le promesse, era giunto per me il momento di abbandonare ogni sogno. Nel 1898 decisi di partire per l’America, facendo assegnamento sullo mie capacità artistiche. Ed ora, dato che comincio a diventar vecchio, credo che sia doveroso far conoscere al mondo i miei esperimenti in aviazione, fatti quando la benzina, gli attuali motori ed i velivoli moderni non esistevano ancora”.
LE PROVE SCRITTE
In quanto ai documenti scritti, che fanno fede dei primi tentativi del Raschellà, egli non li ha tenuti nascosti e li ha esibiti per essere pubblicati in facsimile, assieme ai suoi disegni. Per la storia riproduciamo una dichiarazione rilasciata da quattro amici del nostro pioniere: “Caulonia, 10 ottobre 1889. « Pubblico attestato. «Noi qui sottoscritti desideriamo di attestare che il comune amico Raschellà Vincenzo per circa tre anni va esperimentando nell’arte di volare. «Che noi abbiamo assistito a quasi tutte le sue operazioni, anzi spesso collaborammo con lui nel costruire differenti intelaiature di bambù, canne e tela. «Che in questi ultimi mesi egli ha costruito un pallone con due ali, anche fornito di motori e con due eliche, le quali egli fa rotare coi piedi, e lo chiama il Falco, col quale è rimasto in aria parecchie volte per qualche distanza. «Noi rilasciamo questo attestato perché essendo Caulonia un piccolo paese, dove non è possibile pubblicazione di giornale, riteniamo che questo è l’unico mezzo al presente di confermare quanto sopra. In fede (firmati) Barone Asciutti Nicola, Luigi Giuseppe Nescis, Fonte Giuseppe, Franco Luigi. Oltre a ciò, che potrebbe bastare, Vincenzo Raschellà ha conservato il numero del 22 Gennaio 1895 del giornale “L’Italia Militare e Marina”, nel quale, sotto il titolo « La viabilità aerea” è stato pubblicato il seguente testo: « Sappiamo che al Ministero della Guerra è stato presentato dal Signor Vincenzo Raschellà un progetto per un aerostato dirigibile, il quale sembra non sia una delle solite utopie di sedicenti inventori. Se cosi è, l’arduo problema della viabilità aerea sarebbe stato finalmente risolto. «Ci viene assicurato che la invenzione del Signor Raschellà ha prodotto ottima, impressione in coloro che hanno preso in esame il progetto, e che, fra sette od otto mesi, compiuti gli esperimenti necessari, potrà compiersi il primo viaggio aereo, adoperando il motore trovato dal giovane inventore calabrese, non ignoto, per i suoi studi, nel nostro parco aerostatico».
fonte: la stampa 1931
UN PROGETTO DI: ENZO DI CHIERA-PINO CIRCOSTA E MARIA ELISA CAMPISI TRATTO DA http://www.lamemoriaritrovata.it/