È finita oggi, dopo un anno, la latitanza di Simone Cuppari, ritenuto a capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta originaria del reggino, di Brancaleone per l’esattezza, ma con la sua base in Abruzzo, in particolare a Francavilla al Mare, in provincia di Chieti.
Su Cuppari pende una condanna a 28 anni di carcere, in primo grado, per traffico di cocaina, sentenza emessa nel luglio scorso dal Tribunale di Chieti sulla scorta delle indagini scaturite dall’operazione “Shot 2009”, eseguita nel 2010
Il latitante era stato anche raggiunto da tre ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dalla Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila e Reggio Calabria e dal Tribunale di Pescara nell’ambito di alti due blitz, le operazioni “Sparta” e “Banco Nuovo” eseguite dai Carabinieri di Pescara e di Locri.
Le indagini dei Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Chieti erano iniziate nel 2014, quando gli uomini dell’Arma hanno portato alla luce la presenza di un sistema criminale costituito, organizzato e consolidato sul territorio abruzzese, con le connotazioni tipiche della criminalità organizzata calabrese riconducibile alla “‘ndrangheta”.
I promotori e sodali principali tutti proveniente dall’area Calabrese erano strettamente collegati, per parentela diretta o indiretta e per fitte reti di scambio criminale, con le più note famiglie ‘ndranghetiste della “Locale di Africo”. Così dopo l’indagine “Adriatico”, che ha aveva evidenziato l’esistenza nel Vastese di un’organizzazione riconducibile alla camorra, l’operazione “Design”, per la prima volta, ha evidenziato la costituzione ed il radicamento in territorio abruzzese di un’organizzazione criminale di stampo ‘ndranghetista.
Le indagini hanno consentito di evidenziare come la “cellula” ‘ndranghetista abruzzese, con a capo SimoneCuppari, 36enne di origini calabresi e da tempo residente sulla costa chietina, avesse consolidato un efficiente e proficuo canale di approvvigionamento di ingenti quantità di droga (prevalentemente cocaina) da un analogo gruppo di affiliati alla ‘ndrangheta, stanziati in Lombardia, a loro volta riconducibili, per vincoli di sangue o parentela acquisita, alle famigerate famiglie della “Locale di Platì”, dai quali approvvigionavano carichi di cocaina con cadenza periodica.
La droga veniva quindi distribuita nel mercato abruzzese nelle provincie di Chieti e Pescara, dai sodali ai vari livelli discendenti e da elementi della malavita locale contigui al sodalizio. I proventi dello spaccio della droga venivano quindi, reimpiegati nell’acquisizione di attività commerciali – nel settore della raccolta di scommesse elettroniche e nella ristorazione – e in episodi di usura a danno di piccoli commercianti ed imprenditori locali in difficoltà, moltiplicando, in tal modo, i guadagni. I profitti così realizzati venivano, in parte, reimpiegati in attività imprenditoriali in Calabria, ad esempio nel commercio di autoveicoli e nella realizzazione di villaggi turistici di grandi dimensioni.
Le indagini, infatti, hanno messo in luce la particolare propensione del gruppo ‘ndranghetista, in specie dei suoi vertici, nell’investimento dei capitali, acquisiti illecitamente, in attività imprenditoriali e commerciali, nonché la capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, anche, e paradossalmente, attraverso il consenso acquisito, costituendo per taluni personaggi locali fonte di lavoro e di sostentamento.
Sfuggito alla cattura a febbraio 2017, per circa un anno e mezzo i Carabinieri di Chieti hanno incessantemente proseguito le attività d’indagine riuscendo a localizzare, nei giorni scorsi, un appartamento della provincia di Bergamo dove, da qualche tempo il latitante si nascondeva sotto falsa identità. Ieri Cuppari è stato bloccato dai Carabinieri di Chieti mentre si apprestava a partire per le vacanze estive con la moglie ed i suoi due figli prenotate in una nota località veneta. Per lui si sono aperte le porte del carcere di Via Gleno a Bergamo.
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