Cento anni fa la sera del 1° dicembre 1916, veniva ucciso Charles de Foucauld nel deserto del Sahara. Sulle montagne dell’Hoggar tra i Tuareg, i più poveri della terra. Conquistato dal volto di Gesù a Nazareth, si era fatto povero tra i poveri. Giovanissimo s’era allontanato dalla fede, ma, dopo un periodo in Marocco per una missione di esplorazione, ritornato in Francia, aveva ripreso il cammino spirituale: «Ho iniziato ad andare in chiesa, senza essere credente, vi trascorrevo lunghe ore, continuando a ripetere una strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa che io Ti conosca!”». La sua conversione avvenne a 28 anni: «Non appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui». Il 13 novembre 2005 Papa Benedetto XVI lo annoverava tra i Beati.
“Vivere solo per Lui”: ecco la ragion della sua vita. Il suo motto divenne “Gesù carità, Gesù amore”. A questo arrivò grazie alla direzione spirituale dell’abbé Huvelin, un santo sacerdote che ebbe grande parte nella sua conversione. Una buona guida spirituale è capace di illuminare e sostenere il cammino di ognuno. Accadde a fratel Charles, accade nella nostra vita.

Lo hai sperimentato anche tu, Angelo, in compagnia del carissimo don Fabio, che il Signore ha chiamato a sé. Il tuo cammino verso il sacerdozio è iniziato con lui che ha saputo mostrarti il Signore. E’ sempre così. La vocazione sacerdotale si scopre grazie alla testimonianza di un altro. Non è mai una scoperta che avviene nell’isolamento: c’è sempre l’accompagnamento e la cura di un altro. Ciascuno di noi è arrivato alla fede ed ha avvertito la chiamata del Signore nel vissuto di una comunità, nel rapporto e nell’incontro con un educatore, con chi ci ha offerto un modello di fraternità. In questo cammino c’è spesso la figura di un sacerdote: “il prete è un ostensorio, suo compito è di mostrare Gesù. Egli deve sparire e lasciare che si veda solo Gesù…”. E’ il grande insegnamento che Fratel Charles consegna stasera a ciascuno di noi sacerdoti, ed in particolare a te, carissimo Angelo. Essere mediatori della grazia, guide che accompagnano il cammino di fede dei ragazzi e dei giovani, mani che assolvono, portatori di speranza a chi soffre, padri, fratelli ed amici che vivono l’esperienza bella del vangelo: quale missione più grande di quella del sacerdote! Egli però perde questa identità, quando la sua relazione con Gesù s’impoverisce. Ciò che più è importante nella vita di un sacerdote è l’essere costantemente presi dall’amore di Gesù, è lasciarsi possedere da Lui, è affidare a lui la propria vita. Ci dice Fratel Charles: “Ricordino i fratelli sacerdoti che si fa bene agli altri nella misura di ciò che si ha dentro di sé, quanto a spirito interiore e a virtù”. Ma cosa c’è dentro il nostro cuore? Solo se batte per Gesù ci sarà tanta passione d’amore per Lui, tanta gioia, tanta voglia di andare e soprattutto un grande spirito missionario. Il popolo di Dio non vuole sacerdoti tristi, eternamente insoddisfatti, stanchi e annoiati o semplici amministratori del sacro. A tutti ed a te, caro Angelo, il Signore chiede di essere innamorato di Lui e della missione che ti affida. Solo un grande amore può spiegare la tua vocazione e quella di ogni sacerdote. Quando questo amore viene meno, la vita sacerdotale inaridisce. Non dimentichiamo che se siamo impastati di materia e debolezza, possediamo un grande tesoro che è la chiamata del Signore che ha cambiato rotta alla nostra vita.
La figura di Fratel Charles richiama sotto molti aspetti quella di Giovanni Battista, il “Precursore”, detto così per essersi fatto “voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al Signore”. Il Battista, del quale Gesù dice che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande di lui”, sa di essere mandato a preparare la via al Signore. Egli ci accompagna in questo tempo di Avvento, indicandoci le coordinate che ci portano all’incontro con Lui: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Giovanni esorta a “convertirsi”, a cambiare dentro, a “girarsi totalmente dall’altra parte” nella direzione di Dio. Solo Dio è capace di dare sapore alla vita. In questo tempo di Avvento tutti, e soprattutto noi sacerdoti, siamo chiamati ad andare incontro al Signore, ad essere con Lui nella preghiera, senza mai scendere a patti con la mediocrità della vita, quella che si esaurisce nella ricerca di un benessere comodo e facile, che anestetizza valori ed ideali.
Quanti ostacoli nel cammino verso di Te, Signore!
Non mancano neanche nella vita del sacerdote. Il primo ostacolo può venire dagli impegni quotidiani, che occupano il tempo in modo frenetico e totalizzante, e tolgono a Dio ciò che a Lui spetta. Le tante preoccupazioni terrene, gli impegni di vario genere, l’ansia di fare, allontanano dal Signore. Spesso si aggiunge anche la voglia di mettersi al di sopra degli altri. Dimentichiamo che nella logica di Gesù ciò che conta è farsi servi gli uni degli altri, chi sta a capo è colui che serve. E se uno vuole essere il primo, deve farsi servitore di tutti. E’ questo il modo in cui vengono capovolti i valori della mondanità.
Ma può anche esserci un altro più grave ostacolo nel cammino verso Gesù. Ed è la slealtà. Essa si ha, quando uno vuol servire il Signore senza distaccarsi dalle altre cose, vuole servire due padroni: “Nessun servo può avere due padroni: o serve Dio o serve il denaro». Essere sleali è fare il doppio gioco: in Chiesa tutti compunti, devoti, formalmente in preghiera; fuori del tempio tutto cambia: perfettamente assimilati a coloro che non sono dalla parte del Signore. La slealtà è sintomo di uno sdoppiamento di personalità che allontana da Dio e dai fratelli, che genera una finzione che porta a disprezzare l’altro ed a rovinare ogni umana relazione. Non c’è male più grave di quanto lo sia la slealtà: la slealtà di fronte a Dio, di fronte al prossimo, di fronte se stessi ed alle proprie scelte fondamentali. Doppiezza e slealtà sono virus pericolosi che possono contagiare anche la nostra vita di sacerdoti.
Accogliendo la sollecitazione del Battista chiediamo a Dio che “il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il suo Figlio” e che “la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con Cristo”.
Il profeta Isaia nella I lettura, pensando al Messia, afferma che “su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore”. Sono doni dello Spirito che fanno perno nella sapienza che viene dal cielo. Di questa sapienza abbiamo bisogno. Soprattutto noi sacerdoti chiamati ad una missione di amore. Questa sapienza invoco su di te, carissimo Angelo. Essa non è tanto una saggezza umana, frutto di conoscenza e di esperienza, quanto quel discernimento interiore che ti aiuterà a cogliere la bellezza dell’amore di Dio in ogni cosa, anche nelle cose più semplici, nei servizi più umili. La sapienza che chiedo per te e per tutti noi sacerdoti è la grazia di poter vedere ogni cosa con gli occhi di Dio: vedere il mondo, le situazioni, i problemi, sempre con gli occhi di Dio. Questa sapienza aiuta a superare la tentazione di ricercare solo ciò che risponde al proprio tornaconto o di assecondare gli impulsi disordinati delle passioni. Questa ci fa avere “gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri”, in modo da “accoglierci gli uni gli altri come anche Cristo ci ha accolti”. Senza questa sapienza non ci sarà dialogo, accoglienza reciproca, ma solo invidie, gelosie, maldicenze e cattiverie di ogni genere. Senza questa sapienza, le relazioni nel presbiterio diocesano saranno compromesse e ostacolate: è come vivere una realtà estranea.
Abbiamo da chiedere ogni giorno al Signore la conversione del cuore che ci aiuti ad “attuare in ogni rapporto umano la giustizia, la mitezza e la pace”.

Caro Angelo,
l’imposizione delle mani nel Rito di ordinazione da parte di tutti i sacerdoti qui presenti è più che un segno di semplice accoglienza: è comunicazione dello spirito del presbiterio. Nel presbiterio entri grazie al legame sacramentale che si realizza per l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione. La novità che scaturisce dall’ordine sacro confluisce in questa realtà dinamica che si alimenta nella stima vicendevole, nella collaborazione e progettazione pastorale, nella vita comune, nell’amicizia sacerdotale, nel non isolarsi, nel ricercare frequenti occasioni d’incontro. Il venire meno a tutto questo porta inesorabilmente all’inaridimento spirituale e alla sterilità apostolica. D’ora in avanti, sforzati di vivere il presbiterio diocesano come una seconda famiglia. E prega ogni giorno per i tuoi confratelli presbiteri. Insieme a loro potrai costruire quell’esperienza di condivisione spirituale che il Signore ha pensato per te. Sappi però che lo “spirito del presbiterio” si alimenta nella ricerca di Dio, nell’essere attratti dal desiderio di conoscerlo, dal vivere una relazione personale con Lui, «tête-à-tête, faccia a faccia, come amava dire fratel Charles.
Pensando alla grandezza e bellezza del dono del sacerdozio, ci viene da lodare Dio Padre: «Com’è buono il buon Dio per noi! Misericordias Domini in aeternum cantabo: non vorremmo dire altro che queste parole per tutta la vita… Effondiamoci in riconoscenza, in gioia, in benedizioni, guardando le bontà di Dio per tutti gli uomini, il Suo amore inaudito per ognuno di noi; contempliamoLo e diciamoci che siamo uno di quei piccoli esseri che Egli ha tanto amato (…)».
Con queste espressioni di Fratel Charles ringraziamo il Signore in questa ora di grazia per Angelo, per i suoi genitori e familiari, per la sua comunità parrocchiale di origine, per il suo parroco, che ci onora con la sua presenza, per noi e per tutta la nostra chiesa che è in Locri-Gerace. Amen!

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