«È evidente la sostanziale assenza di concrete ragioni per collegare le attività in tema di stupefacenti alle attività del gruppo mafioso». È quanto rileva la Corte di Cassazione intervenendo in sede cautelare per quanto riguarda diversi indagati, molti dei quali di origine calabrese, rimasti coinvolti nella maxi operazione “Platinum-Dia” scattata nel maggio dello scorso anno sull’operatività di cosche della ’ndrangheta in Piemonte, Sardegna e all’estero. I supremi giudici della Sesta sezione penale hanno ritenuto «fondati i motivi riferiti all’applicazione della aggravante di cui all’articolo 416-bis.1 cod. pen., alla cui esclusione hanno interesse per gli effetti in tema di presunzione di esigenze cautelari e trattamento penitenziario».
Scrive al riguardo la Cassazione nei motivi di accoglimento delle osservazioni difensive che «è evidente la sostanziale assenza di concrete ragioni per collegare le attività in tema di stupefacenti alle attività del gruppo mafioso. La pur ampia motivazione è sostanzialmente limitata all’affermazione dell’esistenza del gruppo mafioso costituito in parte dagli stessi indagati della associazione finalizzata al traffico di droga ma è del tutto apodittica nel ricollegare l’attività dell’una all’altra, sostenendo, senza alcun elemento a sostegno, che l’attività nell’ambito degli stupefacenti è stata utile per la affermazione del gruppo mafioso in quanto tale, il che appare essere rientrato nella sfera volitiva se non altro dei membri dell’associazione affiliati alla ‘ndrangheta».
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