R. e P.

Mi chiamo Livia e sono una turista con il vizio di farsi rapire dalla bellezza. Ancora una volta a sedurmi è stata la Locride, col suo fascino irresistibile: una magia che mi incanta ogni estate, quando scendo a trovare i parenti. Complice, di nuovo, l’Archeoclub locrese, con la visita alla villa romana di Casignana dello scorso 8 agosto: iniziativa gratuita, come tutte quelle organizzate dall’associazione, al solo costo del biglietto. Un’occasione da non perdere, talmente a portata di tasca e di strada.

Così riparto, in un tardo pomeriggio, ancora lungo la 106, in direzione Casignana, non senza aver prima recuperato Rodolfo e Valeria, due soci e amici: perché l’Archeoclub è anche questo: occasione di incontri fecondi, comunanza di passioni e radici.
Mentre guido, ascolto interessata la conversazione dei miei ospiti: proprio lungo la 106 è avvenuto, nel 1963, il primo incontro con i mosaici della villa, durante la posa dei tubi dell’acquedotto: un frammento a paragone di quello che si rivelerà, con i lavori di scavo iniziati nel ’98, il maggior complesso di mosaici pavimentali della Magna Grecia: ben 5000 metri quadrati. Una villa con due anime: a monte tre complessi termali di epoche costruttive diverse, due di II-III d. C. e una di III-IV d. C.; affacciata sul mare l’area residenziale. Spartiacque tra le due, ancora la 106, rea di averne troncato l’ideale continuità ma meritevole di aver riportato l’attenzione generale su questo sito dal valore inestimabile.

Ascolto e vado riflettendo: 15 ettari di terra, di cui solo il 30% restituito alla luce; la promessa di altri tesori architettonici sepolti, rilevati dagli ecoscandagli; l’inevitabile collegamento con Locri e il suo municipium romano…Curiosità e immaginazione si accendono mentre guido, tra uno sguardo gettato alle agavi sbilenche e un altro, più oltre, al blu cangiante del mare; rapimenti di bellezza anche questi; e in questo cortocircuito di emozioni, il togato di Casino Macrì presta il volto all’ignoto, facoltoso possidente della villa di Casignana.
“C’è chi parla di una seconda piazza Armerina”, ha sottolineato il vicesindaco F. Crinò nel suo discorso di apertura, in cui ha condensato, nel pregnante binomio “quantità e qualità” i maggiori pregi della villa, pregi che ne stanno consentendo l’opera di promozione da parte della nuova amministrazione comunale, impegnata nel recupero di cospicui fondi, perduti per un cavillo burocratico, e nel creare sinergie e scambi culturali con le università: l’Unical, l’Università di Perugia, La Sapienza di Roma.

A guidarci in questa suggestiva passeggiata archeologica, il preparatissimo dottor G. Ieraci, che ha ben spiegato l’articolazione del sito, le diverse funzioni e distribuzioni degli ambienti a partire dallo spazio centrale, il sofisticato sistema di canalizzazione, riscaldamento e smaltimento delle acque. Nel contempo ce ne ha fatte apprezzare le raffinatezze architettoniche e costruttive, che si esplicano non solo nella profusione dei marmi pregiati e nella finezza delle tessere musive, ancora evidenti, ma anche in ciò che non si vede più e che tuttavia le consistenti tracce di intonaco e le numerose tessere a pasta vitrea azzurra, trovate sugli strati dei pavimenti, lasciano supporre: pareti intonacate con motivi a disegni complessi e uno spazio ceruleo cupolato, a suggerire uno sfondarsi del soffitto e un suo ideale protendersi verso il cielo; immagine, questa, che richiama, come ci ha fatto notare, suggestive assonanze con la cupola di Santa Sofia a Istanbul.
Ieraci ha poi saputo tracciare la parabola esistenziale della villa rustica, che si snoda tra I e V d. C. con un apogeo nel III- IV secolo, facendo del suo possidente uno degli esponenti di un’aristocrazia rurale potente, che, ricoprendo funzioni economiche, politiche, sociali, amministrative di rilievo in loco, avverte l’esigenza di autocelebrarsi nel fasto delle proprie dimore. E’ in quest’epoca che anche tale villa conosce una fase di monumentalizzazione. Allora le funzioni pubblica e privata si confondono (emblematiche sono le terme) e gli spazi architettonici diventano simbolo stesso della potenza del proprietario, potenza che ha qui il suo fulcro nella splendida sala di rappresentanza con accesso diretto dalla costa, un tempo absidata e preceduta da un porticato, la cui imponenza e verticalità era accentuata da due torri laterali. E questo approdo diretto dal mare mi fa tornare alla mente, da genovese, la Villa del Principe a cui, in tutt’altra epoca (siamo nel ‘500) accedeva, sempre dall’acqua, uno stupefatto imperatore Carlo V ospite del principe Andrea Doria.
Ma vero tesoro e cuore di Casignana sono i suoi mosaici: le quattro Nereidi in groppa ad animali, il Bacco Ebbro, il mosaico della grande aula cruciforme absidata, per citare i più noti; e il trionfo indiano di Dioniso, “l’opera del momento”, scoperta nel 2011 ma fresca di restauro, uno dei rari esempi di trionfo indiano trainato da tigri e non da pantere.

Difficile esprimere a parole l’emozione avvertita nel veder passare, sotto gli spruzzi dell’acqua nebulizzata, le tessere musive, offuscate aihmè dalla risalita di una falda marina, da una morta opacità polverosa a una vita brillante di luce; non ha prezzo poter ammirare il ravvivarsi delle striature sul manto delle tigri trainanti il carro di Dioniso, o il movimentato incurvarsi delle zampe e la criniera quasi spettinata dal vento nel leone cavalcato da una delle Nereidi; ma, soprattutto, l’improvviso illuminarsi dei giochi prospettici dei piccoli cubi tridimensionali, la delicatezza cangiante delle loro sfumature, nella grande stanza ottagona del frigidarium. Ma l’ora volge al tramonto, la luce non è più propizia alla contemplazione di tali meraviglie e i partecipanti, numerosissimi, si assiepano intorno ai capolavori. Mi avvio, un po’ a malincuore, verso l’uscita con quelle immagini ancora negli occhi, e nel cuore una confortante certezza: tornerò presto, per ammirarle, in tutta calma, con l’attenzione che meritano.

Prof. Livia Archinà