Quando ha iniziato a interessarsi del fenomeno mafioso?
<<Io sono nato in una zona ad alta densità mafiosa, nella Locride, in Calabria, quindi sin da bambino ho avuto modo purtroppo di ascoltare, di sentire parlare di mafia. Ricordo che quando avevo 6 anni è stato ammazzato il papà di un mio compagno di scuola perché si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi che controllavano la zona, altri dicono perché aveva visto uno sbarco di sigarette di contrabbando. Era un periodo difficile perché per il contrabbando di sigarette si moriva. Cosche diverse si facevano la guerra per il controllo degli sbarchi, per il controllo del territorio. Quindi è stata la curiosità a spingermi a capire, a voler comprendere quello che succedeva attorno a me e quella curiosità mi ha portato a fare domande, a ricercare. Ricordo che, mentre molti miei compagni, facevano la raccolta di figurine dei calciatori, io ritagliavo le notizie pubblicate dai giornali e le incollavo su un quadernone e preparavo questa sorta di banca dati, un archivio cartaceo che mi portava un po’ a capire la geografia del potere mafioso, dividendo i mafiosi per città, per territorio, per paese>>.
Com’è nata l’idea della fiction “Bad Blood” che prende spunto proprio dal libro?
<<Io ho scritto diversi libri anche in inglese e uno di questi, Businessi or blood: Mafia boss Vito Rizzuto’s last war (tradotto in italiano in “La fine dell’onore”, ndA.), raccontava e ricostruiva gli ultimi anni di vita del boss Vito Rizzuto, capo di Cosa nostra canadese. Questo libro è stato opzionato da una casa di produzione che poi ha deciso di fare una serie televisiva, di successo, perché è stata seguita moltissimo dalla prima stagione, adesso siamo alla seconda stagione quindi alla seconda serie e c’è grande interesse perché racconta argomenti di scottante attualità come il fentanyl che è ormai diventata una droga molto richiesta dai giovani, ma che purtroppo si sta rivelando letale proprio per la difficoltà di dosare le proporzioni e le percentuali di fentanyl accostate a cocaina e eroina, quindi molti giovani stanno morendo. Si parla di questo, del traffico di droga, si parla dei rapporti con i cartelli messicani, si parla un po’ di quello che è oggi l’attualità in Canada, in nord America, per quanto riguarda la criminalità organizzata di stampo mafioso>>.
Perché insieme a Peter Edwards ha scelto di raccontare la storia in forma romanzata (a differenza di altri suoi libri)?
<<E’ probabilmente un modo di scrivere meno noioso. Ci sono diversi modi di raccontare una storia: si può scrivere un saggio, ma si può scrivere anche un libro soffermandosi sui dettagli, descrivendo i personaggi, un po’ sullo stile dei saggi perché resta forte il rigore scientifico, non si inventano personaggi o situazioni, non si modifica la realtà ma si cerca di raccontarla con frasi che non siano noiose. Gli inglesi quando leggono anche un libro che ha a che fare con l’attualità, non vogliono chiuderlo dopo tre pagine ma vogliono appassionarsi, vogliono andare avanti nella lettura quindi l’idea dello stile, che è quella del romanzo, non significa necessariamente sminuire quella che è la ricostruzione delle vicende e dei fatti. Si cerca di combinare saggio e romanzo, come stile di scrittura e non come invenzione>>.
Secondo la Sua esperienza, quali sono le differenze sostanziali delle operazioni e dei metodi di investigazione messe in atto dalla regia polizia canadese rispetto alle nostre procure?
<<La grande difficoltà che si avverte nei paesi di Common Law e quindi in Canada in particolare, visto che il libro è ambientato in Canada, è la mancanza del reato associativo. E’ difficile sequestrare, confiscare i beni illegalmente conseguiti, è più difficile ottenere l’autorizzazione ad intercettare le conversazioni, è molto più complicato ed ecco perché il Canada oggi è una delle roccaforti della criminalità organizzata a livello mondiale. Ogni grande organizzazione criminale ha una base, una sede, in Canada, perché è molto più facile riciclare il denaro, perché è molto più difficile confiscare gli investimenti e le ricchezze mafiose, perché è molto più difficile fare indagini, non potendo avere dalla parte degli investigatori un reato, una norma come il 416bis che consente di arrestare individui solo per il fatto di essere legati e di essere affiliati ad un’organizzazione mafiosa. Invece in Canada bisogna prima dimostrare la partecipazione in attività criminali e poi contestare il reato associativo, che è un reato accessorio>>.
Per chi magari non conosce o sottovaluta ancora le dinamiche, può spiegare in che modo le mafie con il loro operato fanno un danno all’economia legale?
<<Le mafie senza il rapporto con i mercati, con l’economia, non avrebbero ragione di esistere. La mafia ha capito l’economicità della violenza e la rilevanza economica della violenza. Contrariamente a tutte le teorie dell’economia classica, da quelle elaborate da Adam Smith, da John Stuart Mill, la mafia non può fare a meno della violenza ma non può fare a meno dei mercati, dell’economia. Però il problema è che quando poi entra nell’economia legale non è che esce dall’economia illegale, mantiene il piede in due staffe e quando entra nell’economia legale spesso lo fa a spese degli imprenditori legali attraverso una concorrenza sleale, attraverso l’uso della violenza che consente appunto agli imprenditori mafiosi di avere la meglio rispetto agli imprenditori non mafiosi. Non riempie dei vuoti ma tende ad occupare quello che già esiste, ecco perché ad esempio è possibile trovare realtà come la Calabria, che è una regione molto povera, dove vive una mafia particolarmente ricca: 1) perché in Calabria gli investimenti sono residui, minimali, rispetto a quelli che invece vengono effettuati fuori dal territorio di origine, quindi fuori dalla Calabria e 2) perché spesso si tende a utilizzare risorse pubbliche a danno di altri imprenditori, spesso di tende a sbaragliare la concorrenza: mi riferisco, per esempio, al trasporto degli inerti, alla manodopera a basso costo, a tutte quelle realtà che è possibile gestire senza avere grandi capacità imprenditoriali. Ecco perché poi alla fine le mafie diventano una zavorra per il territorio, perché creano un’economia della truffa fortemente dipendente dalla signoria territoriale, dal boss che magari quando assume lo fa perché vuole qualcosa in cambio e quindi, ad esempio, c’è questa abitudine di assumere qualcuno per tenerlo “legato” per poi magari chiedere di votare questo candidato piuttosto che quell’altro, quindi anche quelle poche occupazioni che garantiscono sono condizionate dalla logica dello scambio e quindi il territorio ne risente>>.
Quali sono i rapporti tra le famiglie mafiose in Canada e le gang di strada?
<<Fino a quando c’è stato Rizzuto la grande intuizione di questo boss di origini siciliane è stata quella di mettere assieme competenze ed esperienze, quindi ad esempio nella gestione del traffico di droga aveva coinvolto la mafia irlandese che controlla le banchine del porto di Montréal, per tutte le operazioni di sfacchinaggio, di carico e di scarico dei containers aveva coinvolto le Hells Angels, le bande dei motociclisti, perché loro hanno una grossa diffusione sul territorio con filiali un po’ dappertutto e quindi hanno la capacità di gestire meglio di ogni altro la distribuzione. Poi le bande di strada che si occupano della vendita al dettaglio, al consumatore, in questo modo visto che Rizzuto si occupava prevalentemente di importazione ognuno aveva la sua parte e quindi per molto tempo c’è stata una sorta di pax mafiosa, una convivenza operosa. Le cose poi sono cambiate ed oggi assistiamo ad una recrudescenza della violenza soprattutto a livello di strada dove ci sono molti scontri per il controllo delle aree di spaccio e quindi anche molte vittime>>.
Nel libro si legge che già negli anni ’60 l’ndrangheta aveva messo radici nell’ambiente politico-imprenditoriale dell’Ontario. Com’è oggi la situazione?
<<La situazione è peggiorata proprio perché ci sono state poche indagini, poca attenzione verso il fenomeno che ha usato la violenza solo quando era necessario, si è concentrata più sugli investimenti, sul riciclaggio. In Canada arrivavano i soldi dei sequestri, a Montréal è stata ritrovata una banconota del sequestro di Paul Getty. Il Canada è diventato una sorta di roccaforte dell’ndrangheta perché è uno di quei Paesi in cui è maggiormente presente. Se dovessimo fare oggi una sorta di graduatoria diremmo Germania, ma subito dopo Canada, Australia, Stati Uniti. Il Canada è un posto dove l’ndrangheta ha messo radici all’inizio del Novecento: nel 1911 è stato arrestato Joe Musolino, il cugino del famoso bandito, che in quegli anni controllava la zona del porto. Già da allora si comincia a percepire una presenza di individui legati all’ndrangheta, quella aspromontana. Negli anni ’60 invece è arrivata l’ndrangheta della Locride che oggi è più forte, quella riconducibile alla zona compresa tra Siderno, Marina di Gioiosa, Mammola, le zone che sono poi quelle più legate al traffico internazionale di cocaina>>.
Secondo Lei negli anni Cosa nostra ha continuato a cedere il passo all’ndrangheta?
<<Cosa nostra ha fatto degli errori, a parte le guerre, l’errore più grande è stato quello di sfidare lo Stato, di uccidere diversi magistrati, quasi costringere lo Stato a reagire. Per molto tempo lo Stato non aveva dato importanza al fenomeno che veniva quasi considerato alla stregua di una mentalità, di una cultura, quindi prevalevano le interpretazioni culturaliste come se il fenomeno fosse legato al Sud, alla mentalità dei meridionali e invece nella mafia c’è sempre stata una componente imprenditoriale ed economica che è sempre stata sottovalutata. L’idea di scontrarsi con lo Stato da parte di Cosa nostra ha portato l’ndrangheta a concentrarsi sfruttando a sua volta la colpevole e lunga sottovalutazione di cui ha beneficiato, così mentre Cosa nostra ammazzava Falcone e Borsellino l’ndrangheta investiva i soldi dei sequestri nel traffico internazionale di cocaina e siccome l’ndrangheta, soprattutto quella della Ionica è meno legata al territorio e propensa a viaggiare, l’ndrangheta della Locride che tuttavia mantiene una presenza forte e controlla il territorio ha però una componente che è emigrata, è andata a vivere nel mondo e oggi rappresenta una sorta di testa di ponte soprattutto per il traffico di cocaina. Ci sono broker che vivono in Colombia, in Bolivia, in Perù, c’è gente che vive in Argentina, in Brasile da dove oggi partono i container che raggiungono l’Africa, l’Europa del Nord per poi arrivare nelle principali zone di spaccio>>.
E in Canada?
<<C’è sempre una presenza mafiosa, l’ndrangheta è molto più solida e compatta soprattutto nell’Ontario, mentre in Québec la mafia siciliana è più forte anche se adesso è un po’ disorientata perché fa difficoltà a sostituire Vito Rizzuto e c’è una sorte di vuoto di potere, però queste sono organizzazioni abituate ad assumere anche andamenti carsici e sanno quando abbassare la vista, sanno come rialzarla, sia in Italia sia in Canada, bisogna sempre diffidare delle persone che sono quasi pronte a pubblicare i necrologi delle mafie in difficoltà. La storia della mafia ci testimonia che nel corso degli anni ci sono stati momenti difficili e momenti propizi e in questo momento in Canada e in Sicilia, la mafia sta vivendo un momento di transizione ma non bisogna abbassare la guardia, ma continuare ad indagare senza soluzione di continuità perché quando si comincia a pensare che la mafia sia alle corde quello è il momento in cui la mafia invece sta ricaricando le batterie pronta a tornare in orbita. Penso che spesso la sottovalutazione sia pericolosa, bisogna non abbassare la guardia e questo è stato il grande problema della lotta alle mafie in Italia: la mancanza di continuità, ci sono stati momenti di grande tensione e poi momenti di appannamento, così questi alti e bassi hanno finito per favorire le mafie contribuendo a farle ricrescere quando erano alle corde. Questo bisogna cercare di evitare ma purtroppo spesso la mancanza di comprensione del fenomeno è un elemento che gioca a favore delle mafie. C’è molta gente che continua a pensare che le mafie esistono solo quando sparano ed invece non è così, le mafie sono molto più pericolose quando non sparano>>.
Com’è secondo Lei la percezione della gente in merito al fenomeno?
<<La gente reagisce soltanto alla violenza e quindi quando le mafie non generano/creano allarme sociale passano quasi inosservate. Questo è il grande problema, perché è la gente poi che, soprattutto da questa parte dell’oceano, condiziona l’intervento politico. Se i problemi sono legati al traffico, la gente bombarda di telefonate l’ufficio del rappresentante parlamentare e lo costringe a prendere posizione. Se invece nessuno vede violenza e sangue, perché magari le mafie si muovono sotto traccia, investono soldi e non hanno bisogno di ricorrere alla violenza per controllare il territorio, nessuno li percepisce come un problema e quindi nessuno si lamenta e nessuno fa niente. Questo è pericoloso perché oggi si usa di meno la violenza, che è sempre necessaria altrimenti non sarebbe mafia, ce n’è sempre meno bisogno perché si ricorre alla corruzione, alla mediazione, al compromesso, quindi la violenza si vede di meno in certi momenti>>.
Accennava di questo vuoto di potere dei Rizzuto, che è un po’ la stessa cosa che si chiedono tutti in Italia dopo la morte di Riina. Crede che lì si sia ricreata una sorte di Commissione?
<<Probabilmente no, nel senso che ci sono due anime che si guardano in cagnesco e ogni tanto ricorrono alla violenza. Non penso che ci sia in questo momento la capacità o la voglia di ricompattare l’organizzazione, anche perché ci sono delle divergenze profonde, però è importante ricucire le fila altrimenti altre organizzazioni rischiano di prendere il sopravvento rispetto alle mafie tradizionali. Questo è il problema che oggi affrontano i mafiosi in Canada: la difficoltà di ricompattarsi e il rischio di perdere il controllo del territorio. Che in questo momento ci sia una Commissione forse è da escludere perché non penso che abbiano raggiunto un accordo, però la situazione è incandescente, una sorta di vaso di Pandora da cui può uscire tutto e c’è chi pensa che la violenza possa tornare a insanguinare il territorio>>.
Le famiglie di mafia che debbono trovare un accordo, sono sempre quelle storiche?
<<No… perché in Canada è diverso: per capire il Canada bisogna tenere conto che la mafia canadese come quella americana è una sorta di melting pot, nel senso che non ci sono solo siciliani, ma all’interno della stessa organizzazione ci sono criminali di origine pugliese, criminali di origini calabrese, ci sono varie componenti che spesso fanno fatica a trovare la sintesi. Ai tempi del papà di Rizzuto la mafia canadese dipendeva da quella americana, con Vito Rizzuto invece la mafia canadese si è un po’ resa indipendente, ha trovato una sorta di autonomia operativa, non dipende più dalle famiglie di New York, o dalla famiglia dei Bonanno in modo particolare, e questa è stata una delle grandi novità e uno dei grandi successi di Vito Rizzuto quello di affrancarsi dalla famiglia Bonanno, dal momento in cui questa famiglia storica di New York, andava incontro a un periodo difficile caratterizzato dalla defezione di molti suoi componenti tra cui il capo della famiglia, Joseph Massino>>.
Qual è il ruolo delle donne nelle mafie in Canada?
<<Simile al ruolo delle donne nelle mafie italiane, è un ruolo di supplenza, a volte quando i mariti e i padri e i fratelli finiscono in carcere, almeno nella trasmissione delle informazioni, ma non hanno un ruolo operativo. Sono più legate a logiche educative, la trasmissione dei valori mafiosi, piuttosto che di gestione operativa e quindi continuano ad essere marginali. Sono lontani i tempi in cui in Canada comandava Bessie Starkman, la compagna di Rocco Perri, che è stata forse una delle prime madrine, the Godmothers, nell’ambito della criminalità organizzata. Mi viene in mente Griselda Blanco tra Colombia e Stati Uniti, ma sono poche le donne che sono riuscite ad affermarsi in un mondo che continua ad essere testosteronico, sessista, machista per certi versi>>.