R. e P.

Nella finale mondiale il Dio dello sport ha parlato chiaro : “Il calcio mi appartiene, lo stringo al cuore. Non potevo lasciarlo così tanto svilire tra soldi e violenza, né immiserire nel cumulo delle isterie stravaganti delle tifoserie. Non è facile per nessuno diventare il gioco più bello del mondo, in ogni emisfero del mondo e per qualsiasi stagione della vita, se non si è cosa grande. Lo riprendo volentieri dopo la lectio magistralis di Francia – Argentina. Lo riprendo senz’altro. Lo sport fa uso normalmente di molte lacrime sulla sua strada, per lucidare con gocce limpide di onore i suoi attrezzi, prima di regalare la vertigine dei veri trionfi e il bene immenso del sogno, che fa a meno persino del beneficio concreto.
Le lacrime sono il linguaggio che non parla, ma che lascia detto al cuore ciò che non riesce a tradursi in parole. Le cose di cuore diventano sempre luce dell’anima “.

Il Calcio ha vinto, anche su di me, che lo avevo osservato in involucri sbagliati, che sporcavano la sua lucente missione. Per me Olimpia è una legge non effimera nell’intelligenza del sacro.
Nella finale lo spartito imbandito dal Calcio ha veramente rosolato i più celebrati calciatori, dal voluminoso e sfacciato conto in banca, e li ha sminuzzati e rivoltolati in un tritacarne emotivo, che li ha messi cento volte nella polvere e altrettante sugli altari. Tutti i trenta della serata.
Ed ha vinto il Calcio, con la livrea biancazzurra o blu notte, fa poca differenza. A quel prezzo tutti in egual misura sono stati degni portacolori dello Sport. E il calcio rimane gioco che ti strattona l’anima, sia sul praticello di periferia, come nei più sontuosi teatri sportivi della modernità.
Ugo Mollica