Residenti delle case popolari tormentati e minacciati con lo scopo di fargli lasciare l’abitazione in cui vivevano per poterci poi “sistemare” i familiari di persone pregiudicate.

La vicenda ha visto come vittime i legittimi assegnatari degli immobili del quartiere popolare di via Tocci, nella zona Scalo di Corigliano Calabro.

Sull’accaduto hanno indagato i carabinieri della compagnia locale che oggi stanno eseguendo tre ordinanze di custodia cautelare – emesse dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro – che fanno spalancare le porte del carcere per altrettante persone.

GLI ARRESTATI

Le manette sono scattate per: Giacomo Pagnotta, 44enne coriglianese, pluripregiudicato anche per reati associativi; Francesco Sabino, 28enne coriglianese, con precedenti penali, e Marco Giuseppe Vitelli, 24enne coriglianese, con precedenti penali.

L’ACCUSA

I reati contestati sono quelli di concorso in estorsione aggravata eseguita con il metodo mafioso, danneggiamento ed occupazione aggravati.

LE INDAGINI

L’attività investigativa, condotta dai militari della Sezione Operativa della Compagnia di Corigliano Calabro e coordinata dal Procuratore Aggiunto Vincenzo Luberto e dal Sostituto Procuratore Alessandro Riello, trae origine da diverse segnalazioni provenienti dai legittimi assegnatari delle case popolari, in cui sarebbe stato dichiarato che diversi immobili erano stati arbitrariamente occupati da persone sistemate dagli arrestati.

I Carabinieri ausonici avrebbero appurato come in almeno un caso, presso un alloggio popolare dello scalo, gli indagati avrebbero compiuto delle ripetute azioni, attuate con modalità mafiose, finalizzate a coartare i legittimi titolari ed a provocare in loro la rinuncia ad un diritto patrimoniale, con il conseguente danno materiale e morale.

Queste azioni sarebbero state finalizzate non solo a preservare l’impunità degli indagati, ma anche e soprattutto a far conservare all’illegittimo possessore l’utilizzo dell’appartamento occupato, attraverso l’intimidazione del itolare legale.

Gli arrestati avrebbero utilizzato veri e propri metodi d’intimidazione mafiosa, e per questo motivo il G.I.P. ha ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso.

Alle vittime – scrive il magistrato – indicavano la parentela dell’illegittimo possessore dell’alloggio popolare, da loro sistemato, con un soggetto già condannato per reati associativi, ingenerando negli stessi un inevitabile timore, cui si aggiungevano affermazioni minacciose e danneggiamenti compiuti per entrare nei locali o nelle loro pertinenze.”

Il profilo criminale dei tre soggetti – sostengono gli inquirenti – sarebbe stato assodato non solo dai loro precedenti penali, reati contro il patrimonio e la persona, e nei confronti di Pagnotta anche associativi, che certificherebbero la loro “persistenza di una specifica capacità a delinquere rivolta al detrimento del patrimonio e della libertà altrui, ma anche dal loro inserimento nel contesto criminale locale, tanto da potersi permettere di spendere il nome di un soggetto già condannato in via definitiva per il reato di associazione mafiosa ed ingenerare uno stato d’intimidazione nei confronti delle vittime”.

Contestualmente sono state eseguite diverse perquisizioni domiciliari, anche con l’ausilio delle unità cinofile dello Squadrone Carabinieri Cacciatori di Calabria e controlli mirati nelle case popolari dello scalo coriglianese per acclarare altre illegittime occupazioni.

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