Il peperoncino piccante Calabrese, felice paradosso e simbolo di una terra di frontiera, proveniente dalle Americhe in tempi brevissimi è diventato l’emblema della cultura alimentare locale, oggi anche da esportare…
…accende gli animi come peperoncino vivo sulle labbra (Carmine Abate).
Una premessa necessaria
Nella seconda metà del 1990 l’antropologo Francesco Remotti proponeva la lettura di un libro incredibilmente bello: Contro l’identità. In pratica un libro che ognuno di noi dovrebbe tenere in casa, e in bella vista, un libro da sfogliare almeno una volta l’anno.
Si tratta di un libro da leggere almeno una volta l’anno esattamente perché, in poco più di 100 pagine, Francesco Remotti gioca sui paradossi e le contraddizioni dell’identità per tentare di andare oltre. Pena il rischio di perdere l’apertura all’alterità.
Prima ancora, in un capitolo che porta il titolo decidere l’identità, Francesco Remotti aggiunge che la ricerca dell’identità implica due operazioni diametralmente opposte e nel contempo in relazione ricorsiva tra loro: un’operazione di separazione e un’operazione di assimilazione. Anche perché l’identità non ha a che fare con l’essenza di un oggetto, ma dipende da una nostra decisione.
E ancora
Negli stessi anni l’antropologo calabrese Vito Teti proponeva un libro altrettanto bello, un piccolo capolavoro: Il peperoncino, di seguito il saggio fu ampliato e arricchito.
Anche questo è un libro che ognuno di noi dovrebbe tenere in casa e in cucina magari, anche se non si tratta di un ricettario alimentare. Esattamente perché stiamo parlando del peperoncino piccante calabrese, e con particolare attenzione al rapporto che lega il peperoncino a chi questa terra la abita e la percorre. E anche di chi la immagina.
E allora Vito Teti, nelle prime pagine del suo Peperoncino, racconta un episodio divertente e assieme bizzarro. Uno dei quegli episodi che accadono e sono accaduti a chi ha vissuto per lungo tempo fuori dalla nostra terra. Una spaghettata aglio, olio e peperoncino, in questo caso esattamente nella casa di un suo amico romano.
Ora, da buon calabrese Vito Teti trovò il peperoncino usato un po’ dolciastro e scipito, così ne chiese dell’altro e di più forte. Da subito incrociò lo sguardo smarrito dei suoi amici che soffiavano, starnutivano e bevevano vino a causa dell’eccessivo peperoncino.
Ma lui, impassibile, continuò a mangiare quella pasta molto piccante con disinvoltura che, ovviamente, gli provocava un po’ di bruciore. Anche perché, come lui stesso confessa, a volte ci comportiamo come gli altri vogliono, per non dispiacerli o per confermare una loro immagine. Altre volte costruiamo un’immagine di noi corrispondente alle aspettative altrui, e altre volte ancora ci comportiamo in modi nemmeno da noi condivisi soltanto per contrastare le immagini negative che gli altri sì sono fatte di noi.
Pillola storica del peperoncino piccante calabrese
Il peperoncino piccante calabrese, più comunemente conosciuto come Capsicum, è il frutto di una pianta non autoctona che viene della famiglia delle Solanaceae proveniente dal Centro e dal Sud America.
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E così, benché il peperoncino piccante, e non quello calabrese, fu usato come alimento già in tempi antichissimi (in effetti pare fosse conosciuto in Messico circa 9.000 anni fa come pianta spontanea per essere coltivato a partire dal 5.500 a.C.), arrivò in Europa con Cristoforo Colombo a seguito della sua conquista dell’America, era il 1492.
Effettivamente non si sa in quale stiva delle 3 Caravelle Cristoforo Colombo imbarcò il Capsicum. Di certo sappiamo che in tempi brevissimi dalla Spagna si diffuse in tutte le regioni del Mediterraneo, magari seguendo rotte diverse.
Così, come non sappiamo quale rotta il Capsicum seguì per approdare in Calabria anche questa volta sappiamo che in tempi brevissimi, qui, divenne il famoso peperoncino piccante calabrese. Un ingrediente capace di conquistare e caratterizzare per sempre la cucina regionale più qualcos’altro, vedi pure identità.
E allora…
E allora, da quel 1492 circa, non c’è ricetta tradizionale in Calabria in cui non appaia il peperoncino piccante. Anche perché, per essere moderatamente chic, pare che il peperoncino piccante calabrese sia tra i migliori in assoluto, e questo per via delle sue esclusive caratteristiche organolettiche. E in effetti pare lo sia.
Ma prima ancora, e questa volta per essere radical, il peperoncino piccante calabrese è un simbolo decisamente democratico dove sapore, colore e piccantezza hanno conquistato prima i costumi, la cultura e la cucina dei ceti popolari, e di seguito quella dei ceti più ambienti.
Così, ancora oggi, al di là della produzione industriale, il peperoncino viene coltivato più o meno da tutti i calabresi in vasi orgogliosamente esposti nei giardini urbani o sui balconi. Magari accanto a quelli con basilico o altre spezie.
E poi, nel periodo di raccolta, vengono fatti essiccare al sole e spesso infilati con ago e filo a formare collane di peperoncini da regalare e esporre in cucina.
Un peperoncino che brucia
Per parafrasare Vito Teti, il peperoncino piccante calabrese è un americano nel Mediterraneo. Un delizioso straniero che si è perfettamente integrato nell’identità altra del popolo calabrese.
Così il suo fascino e il suo carattere hanno conquistato praticamente tutti diventando addirittura, e in tempi brevissimi, l’emblema della cultura alimentare locale.
Cultura alimentare locale da sperimentare, vantare e assieme esportare, in un curioso gioco di rimandi che in un’insolita dinamica ricorsiva ha saputo mantenere la peculiarità globale del peperoncino moltiplicandola. Questa volta seguendo rotte diverse.
Si, il peperoncino piccante calabrese è un felice paradosso della nostra storia. Simbolo di una terra di frontiera con un’identità in progress, una terra spesso anche troppo amata e odiata, ma capace di accogliere tutto e tutti.
E allora Capsicum, bomba, viagra 100% Calabrese anche perché, in realtà, il peperoncino calabrese non picca, brucia, e non solo in bocca… accende gli animi!
A presto, Sergio.
Ps: la foto Viagra Calabrese è tratta da Wikipedia.