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Il che non vuol dire, ripeto, che il lupo non predi pecore o vitelli anche in presenza di ungulati selvatici, ma che anche nel caso di Catanzaro, l’ uccisione di dieci pecore in sei mesi, in mancanza di altre prede (vedi ad esempio piccoli di cinghiale o rossastri o malati), calcolando il fabbisogno giornaliero di carne al giorno e anche la possibilità di resistere a lunghi periodi di digiuno, avrebbe condannato i tre lupi catanzaresi alla morte per fame. Detto ciò, pur riconoscendo il danno effettivo subito dall’allevatore (con il beneficio del dubbio sugli autori del misfatto), non siamo certamente di fronte ad un’emergenza lupi, considerato che la densità di questo predatore, al vertice della piramide alimentare, è valutata di 1-3 individui ogni 100 Km2 e che, livello riproduttivo, non stiamo parlando né di topi, né di conigli, tant’è che ci sono voluti circa vent’anni per vedere la popolazione italiana passare da circa 500 a circa 1500 lupi. Di una cosa comunque gli allevatori possono stare certi: non è stato messo in atto nessun “piano segreto” di “ripopolamento” di lupi per contrastare la presenza dei cinghiali (a parte il fatto che se non ci sono riusciti 13.500 cacciatori, i selettori e i cappi che strangolano i cinghiali, e tutto quello che di peloso ha una certa taglia…, è difficile che tre soli lupi, per quanto proverbialmente affamati, possano debellare la piaga suina). Di fronte alla predazione e ai danni alla zootecnia da parte di carnivori , siano essi cani rinselvatichiti o lupi, non esiste dunque altra strategia se non quella indicata in più occasioni dagli organismi scientifici (ISPRA) e dal Ministero dell’Ambiente, per il controllo del randagismo canino e per l’adozione di sistemi di prevenzione e di mitigazione del danno. Non un solo intervento, ma tutta una serie di iniziative, adottate sulla base delle particolarità locali che in diversi contesti territoriali hanno visto ad esempio l’impiego di particolari cani da guardia (la razza maremmana- abruzzese , il Komondor , cane dei Pirenei ecc.), l’uso di recinti elettrificati, la stabulazione notturna protetta, scoraggiando il più possibile la conduzione del pascolo delle greggi allo stato brado, che invece dovrebbero essere sempre accompagnate dal pastore o da cani da difesa. A meno che, viste certe tendenze in atto, non si voglia ripristinare l’antica tradizione dei “Lupari” e assegnare un premio per ogni testa di lupo consegnata.
Infine due parole sul paventato pericolo per la sicurezza dei cittadini: l’ultimo caso documentato di aggressione all’uomo da parte di lupi in Italia risale al 1825 (Gattinara , VC), mentre in Italia risultano invece dal 3 settembre scorso ad oggi ben sei casi di aggressione all’uomo da parte di bovini, di cui quattro mortali (tra cui un ragazzo di 15 anni a Modica, in Sicilia), per cui, stando alle statistiche e considerando le centinaia di migliaia tra escursionisti, fungaioli, cacciatori e gitanti della domenica che non hanno mai subito aggressioni da lupi (da cani di pastori sì), dovremmo concludere che sono più pericolose le vacche che non i lupi. Di fronte al problema delle interferenze tra i predatori carnivori e le attività zootecniche esistono delle esperienze che provano che una certa coesistenza tra uomo e l’animale possa realizzarsi, nell’interesse di chi lavora e impegna i suoi capitali nel settore, ma anche per conservare quei 1500-2000 lupi che in Italia, tra 7,5 milioni di vacche, 13 milioni di pecore e capre, 300.000 cani randagi e le fucilate dei bracconieri, riescono ancora a lanciare il loro ululato nelle notti di luna piena.
Dott. Giuseppe Paolillo – Responsabile Settore Conservazione WWF Vibo Valentia (calabria@wwf.it)