E’ certamente una lettera controcorrente che cozza maledettamente con i racconti sempre piu’ frequenti di malasanità. Ma anche per questo ci pare doveroso accoglierla. Proviene da N.V. una giovane madre di 41 anni e la proponiamo per come ci è stata inviata “ A volte – scrive N.V. – accadono degli eventi nella storia di una persona che sono un vero e proprio spartiacque, come una linea che traccia una divisione netta tra il “prima” e il “dopo”. E’ quello che è successo a me la notte del 12 novembre scorso, proprio qui, in questa terra che, spesso a torto, è conosciuta per fatti negativi. Invece io voglio raccontare la mia esperienza positiva. Una sera come tante, dopo giorni di vago malessere, ho sentito forti dolori al petto; ero sola in casa con la mia bambina, mio marito fuori sede per lavoro, ho lanciato il mio grido di aiuto alla parente più prossima. Già da quel momento per me è scattato il “black out”, i ricordi si fermano, così come si ferma il mio cuore qualche minuto dopo durante la corsa in macchina verso l’Ospedale di Locri. ”Infarto anteriore devastante”, “arresto cardiaco”, sono le sentenze che scriveranno i medici sui referti. E’ quasi mezzanotte al Pronto Soccorso di Locri ma tutti si mobilitano e mettono in atto le procedure richieste dal caso: medici di Pronto Soccorso, Cardiologia, Rianimazione, infermieri, il personale in servizio e anche la guardia giurata, chi era presente mi ha raccontato che almeno quindici persone si prendono cura di me e si prodigano per fronteggiare l’emergenza finché non riescono a riaccendere la scintilla della vita. A riportarmi in vita. Sono necessari un trasferimento urgente agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria su un’ambulanza con medico rianimatore, un intervento di cardiochirurgia, il ricovero nel reparto di Rianimazione e poi lunghe settimane in Terapia Intensiva, il ritorno all’U.T.I.C. dell’Ospedale di Locri per affrontare il cammino che mi attende, un periodo lungo e delicato di attese e di paura, di scelte vitali e di necessità di affidarsi alle cure degli specialisti. Ma alla fine torno a casa e con cautela riprendo a vivere. Io sono la prova vivente del fatto che nei nostri ospedali ci sono persone competenti, medici, infermieri e personale qualificato che spesso lavorano in condizioni precarie e a volte sono oggetto di critiche anche pesanti. Oggi scrivo per dire grazie a chi ha saputo capire che non c’era tempo da perdere, grazie per la tempestività dei soccorsi, per la perizia degli interventi, per l’umanità e la generosità con cui sono stata curata nel momento dell’emergenza e durante il lento periodo della ripresa. Forse qualcuno dei dottori che era in servizio si ricorderà di me, a tutti loro va la mia incondizionata riconoscenza così come ai medici di Reggio Calabria. Ho quarantun’anni, quella sera all’Ospedale di Locri è iniziata la mia seconda vita”.

Aristide Bava

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