Ugo Franco – Ma, a San Giovanni Therestìs chi ci pensa? Domanda spontanea e d’obbligo perché il monastero ortodosso di Bivongi, da quattro anni rimane fruibile per metà per via di due restauri, uno esterno che ha interessato il recupero del fienile – così l’ha definito il soprintendente di Cosenza, Faustino Nigrelli – già completato e l’altro interno per il recupero degli affreschi bizantini venuti alla luce, alle battute finali.
Si era, addirittura, stabilito per questo mese l’apertura al pubblico della basilica visto che i ponteggi, serviti per intervenire sugli affreschi interni, erano stati rimossi e restavano da completare le sole rifiniture. Delusione, specie dei monaci, perché tutto rinviato in quanto, il cantiere guidato dal restauratore, Giuseppe Mantella, ha dovuto sospendere i lavori di completamento a causa delle infiltrazioni d’acqua dal solaio in cotto del fienile realizzato dalla Soprintendenza. I monaci sconfortati sono chiusi nel silenzio e lo scetticismo di padre Justine, reggente del monastero, era dunque ben fondato.
Alcuni studiosi e cittadini che fanno parte del “Comitato Therestìs”, e hanno seguito il corso dei restauri, in occasione della visita di qualche giorno fa, hanno notato un ponteggio alla parete del fienile e sono stati informati che dal “terrazzino” dello stesso filtrava acqua all’interno della basilica.
<<Non è possibile – il commento dei componenti il Comitato – che dopo un mese dal completamento del recupero del fienile possa entrare acqua. Che lavori sono stati fatti? È il caso di dire chi controlla il controllore visto che la Soprintendenza non ha ascoltato nessuno studioso locale né sulla storia del fienile né che era un manufatto di fine 1800 realizzato da contadini bivongesi che vivevano in campagna e non aveva nessun legame con la basilica che è del sec XI, prima per decidere su un restauro conservativo.
Ha voluto, così, conservare qualcosa che poi non ha conservato perché dell’originario è rimasto poco visto che ha eliminato la scala esterna d’accesso al piano superiore e ha abbattuto il relativo pavimento ottenendo un parallelepipedo perdendo quello spazio necessario alla destinazione voluta dalla Soprintendenza per realizzare un museo. Poi, perché eliminare il caratteristico tetto in tegole e realizzare un terrazzino in cotto e far defluire dalla parte nascosta ai visitatori, in un tubo in rame, l’acqua piovana come se fosse una semplice abitazione moderna?
Il certosino lavoro dell’equipe di Giuseppe Mantella sugli affreschi bizantini venuti alla luce sarà vanificato dalle infiltrazioni d’acqua? Ci si aspetta – la conclusione degli studiosi – un intervento dell’Amministrazione comunale perché, dopo quattro anni, siamo caduti proprio nel ridicolo>>.