Ieri é stato un giorno particolare per Francesco Trichilo, bravissimo chef del ristorante “Ricrìju” di Siderno, che è stato ospite dell’Università di Belluno nell’ambito del progetto “Il Filo di Arianna”. In quella sede si é parlato di “Sapori e musica dell’area magno grecale e grecanica”.  I referenti del progetto avevano conosciuto Francesco Trichilo nel suo locale di Siderno durante una ricerca sul recupero della lira calabrese ed ignoravano la sua ricerca etno-gastronomica sui cibi e gli usi culinari che persistono sul nostro territorio. Gli stessi ideatori del progetto hanno dichiarato che ” si sono resi conto come fosse impossibile trattare tale argomento prescindendo dalle sue competenze”. Dal canto suo lo chef sidernese ha voluto evidenziare l’importanza di questa esperienza in ambito professionale.  Lo chef Francesco  Trichilo ha voluto recuperare la cucina ancestrale sedimentata nei suoi ricordi infantili, quando in tavola c’erano soltanto i prodotti selvatici che il territorio offriva, verdure e radici in primo luogo, con aggiunta di legumi e qualche ortaggio. Oggi qualcuno fa lo schizzinoso di fronte a questi alimenti, mentre allora si benediceva il cielo quando erano ciò che consentiva la sopravvivenza. Pertanto in questo modo Trichilo opera un racconto antropologico preziosissimo che ha la stessa dignità di un reperto archeologico o di un museo storico. Trichilo si produce in antichi canti regionali, in dialetto stretto, suonando strumenti ormai scomparsi come la lira calabrese.

Questo magnifico progetto appare frutto tanto del cuore quanto della ragione, visto che Trichilo è sì follemente innamorato della sua terra. 

Il suo spirito manageriale gli consente di mantenere elevato il rigore di un progetto di ristorazione che rappresenta un baluardo intellettuale contro l’impoverimento della competenza gastronomica e insieme un importante atto di valorizzazione del territorio.

Il pane di grano duro macinato a pietra, fatto col lievito madre, quindi si può immaginarne la fragranza.

Salumi e formaggi sono ben rappresentati.
La ‘nduja è alla maniera jonica, quindi meno piccante e più delicata.
Il formaggio è da un misto di latte vaccino e ovino, avvolto nelle felci, fatto maturare sotto terra. Pura poesia casearia.
Il capicollo di filetto di Suino nero di Calabria spande profumi animali e sfodera un gusto equilibrato che conquista.

Particolari le zucchine cotte in aceto, a freddo.

Meravigliosa la ricotta,imperdibile il mais, tenuto in acqua e sale per un giorno e mezzo, poi cotto con tutte le foglie che si abbrustoliscono progressivamente, liberando un sapore dolcissimo.

Gran piatto di golosità quello che segue.
Buone e perfette le melanzane ripiene, meno esaltanti le zucchine ripiene e le frittele di patate che però affascinano perché sono preparate come una volta, quindi molto soffici dentro.

Ghiotte le croccantissime zeppole con impasto di farina e patate bollite, fritte a bassa temperatura, impreziosite dalle alici.

La Parmigiana, poco sapida e con una punta di amaro troppo presente, non ha convinto il nostro palato, mentre si è rivelata una vera squisitezza la Cucuzzata ca trimma, cime di zucchina in cui viene buttato in mezzo un uovo girato a caldo, con aggiunta di formaggio.

Ottime le cicerchie con un condimento dall’originale effetto balsamico.

La missione culturale di Trichilo si esplicita con i Ceci neri che ha recuperato personalmente, rimettendoli in produzione.
Sono cucinati nei cocci e poi soffritti.
Una volta si mangiavano con le mani, magari nei campi, come energizzante, visto che contengono tantissimo ferro.

Nomen omen per la Crema bruciata, visto che viene realmente incendiata una volta servita.
Dolce strepitoso scaturito da un uovo e latte di capra.

Per accompagnare il pasto, bisogna abbandonare certe abitudini consolidate e aderire agli usi locali, quindi mischiando l’onesto vino della casa con la Gassosa Gioietta, prodotta nella vicina Gioiosa Ionica.

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Fonte: Storienogastronomiche.it