R. e P.

Con la presente vorrei replicare su quanto riportato dagli organi di stampa in merito alle affermazioni del prete sulla vicenda di allontanamento di mia figlia dalla Basilica di Gerace. Innanzitutto, prendo le distanze dalle offese che alcuni hanno fatto sui social e dalle interpretazioni che sono state fatte sulla vicenda, nonché da frasi virgolettale dette dal prete che non ho scritto e né dichiarato. La lettera inviata al vescovo è l’unica comunicazione ufficiale seguita dalla sue successive scuse.

Gli sviluppi della vicenda risalgono a circa una settimana fa, precisamente a giorno 7 settembre. Nella mattinata il prete ha contattato mio padre e ha fatto presente che questa situazione aveva avuto un forte impatto mediatico e ha cercato di fare pressione su di lui affinché io ritrattassi tutto con una nota alle testate giornalistiche. Sempre con le stesse intenzioni, mi ha contattato telefonicamente e già in quella occasione ho detto che non avrei modificato la mia posizione ribadendogli cosa aveva fatto. Pertanto riconfermo nuovamente che ha allontanato la bambina dalla Chiesa, cosa che ho riportato anche una seconda volta al vescovo. È fin troppo semplice lavarsi la coscienza attraverso la smentita di una ricostruzione arbitraria dei fatti, e quindi da me non dichiarata, evitando di prendersi la responsabilità delle azioni compiute. Invece di pensare prima alla propria immagine bisogna essere onesti con sé stessi e ammettere i propri errori.

Vorrei ricordare quanto scritto in precedenza. Era l’inizio della celebrazione del matrimonio e come accade a tanti bambini della sua età, mia figlia aveva avuto dei momenti di pianto che dal mio punto di vista erano gestibili e non inficiavano sul corretto svolgimento liturgico nonostante nella maggior parte delle volte corrispondevano all’aumento del tono di voce del sacerdote. Preciso che sono stati 2-3 momenti e che se fosse stato un pianto continuo o inconsolabile o se avessi visto che la bambina si trovava a disagio sarei stato io il primo a portarla fuori dalla chiesa per cercare di calmarla. Ripeto nuovamente che la situazione era gestibile e la bambina non dava problemi. Ad un certo momento della celebrazione l’aumento del volume della voce del sacerdote ha fatto piangere la bambina. Nemmeno pochi secondi dopo il parroco si è rivolto verso di me dicendo “la bambina… ” e con un gesto ripetuto della mano mi ha fatto capire che dovevo allontanarmi dalla Chiesa.

Sono state chiare a tutti le intenzioni del sacerdote di voler mandar fuori la bambina.
Non si è trattato di un malinteso. É stato un gesto chiaro, palese e inequivocabile. Tant’è vero che sia il giorno del matrimonio che quello successivo, diverse persone sono venute a parlarmi ritenendosi dispiaciute per il comportamento del prete.

Considero che sia stata un’azione impulsiva e sproporzionata rispetto al pianto iniziato da pochi secondi di una bambina e che avrebbe potuto gestire diversamente. Non credo che questi atteggiamenti siano consoni ad un luogo sacro, ritenuto da tutti come il posto dell’accoglienza. Pertanto reputo ingiustificabili tali gesti e spero che non si ripetano in futuro.

Mi risulta singolare la posizione presa dal Consiglio Pastorale di Gerace (CPG) dove per mettere in atto la difesa del prete in questione dichiarano “un pianto a dirotto” , che smentisco e perfino che abbia disturbato la celebrazione, altra cosa non vera. Successivamente il CPG pone l’accento su quello che è il ruolo dei genitori e parenti in queste situazioni. Vorrei ricordare allo stesso CPG che la situazione non era tale da dover richiedere l’intervento di parenti e la bambina poteva rimanere tranquillamente in Chiesa. Vista la dichiarazione resa a stampa mi chiedo se lo stesso CPG conosca l’impegno e le attenzioni che in ogni momento vengono date dai genitori di bambini autistici ai loro figli. Ma dalle parole scritte sembra che ancora manchi questa consapevolezza forse dovuta al fatto di quanta distanza ci sia tra la Chiesa e l’autismo. E invece di accorciare questa lontananza si pensa a far passare la propria versione come la verità assoluta e incontestabile plasmando e ammorbidendo la circostanza descritta. Addirittura a fine comunicato c’è una sorta di ammonimento agli organi stampa. A questo punto mi chiedo perché un prete possa allontanare una bambina dalla Chiesa di fronte a tutta la comunità cristiana e non si possa raccontare a tutta la comunità cosa abbia fatto quel sacerdote. Purtroppo da quanto successo ho avuto la conferma di quanto ci sia ancora molto da lavorare per rendere una società vicina al prossimo. Mi dispiace che ancora non si è capito che in questa vicenda non ci sono né vincitori né vinti, ma c’è la necessità di essere maggiormente uniti, di avere una comunità più consapevole ed inclusiva. Inclusione è il termine che deve essere compreso e messo in pratica. È arrivato il tempo di avere una maggiore sensibilità. E questa si acquisisce giorno dopo giorno, toccando con mano quelle che sono le difficoltà delle varie disabilità e dei familiari che prestano assistenza incessantemente.

Infine vorrei ricordare al prete che afferma “mai pronunciato quelle parole” che un gesto vale più di mille parole, spesso sono i gesti delle persone che stanno attorno a noi a fare la differenza sull’inclusione.
Sono deluso, amareggiato e sfiduciato da una parte dei rappresentanti della Chiesa della locride.

Penso che ricorderò questa vicenda come una triste storia dove qualcuno ha preferito sostenere il proprio ruolo rispetto ai valori che  rappresenta.

G. Sgambelluri

foto archivio