Bancarotta fraudolenta e documentale, truffa, riciclaggio e autoriciclaggio: queste le accuse contestate ad un imprenditore edile del soveratese e, a vario titolo, anche ad altre persone ritenute coinvolte nei reati, ed a cui stamani la Guardia di Finanza ha sequestrato rapporti bancari, postali e beni per un valore stimato in circa 600 mila euro.
Secondo i militari l’imprenditore, che è poi fallito, incurante del forte stato di decozione della sua impresa, avrebbe effettuato delle spese personali definite dagli investigatori come “scellerate” ingannando gli acquirenti di immobili che lo stesso si era impegnato a costruire.
In un primo caso, il costruttore avrebbe affinché un soggetto interessato a comprare, stipulasse un preliminare di vendita con la società fallita – “opportunamente svuotata del proprio patrimonio” – deviandone il relativo pagamento sui conti di un’altra società in bonis, dallo stesso oggetto sociale e dalla denominazione quasi identica, che si ritiene fosse stata costituita apposta e amministrata formalmente da una persona a lui vicina.
A garanzia dell’acconto pagati, l’imprenditore avrebbe consegnato al cliente un assegno di pari importo da riscuotere nel caso in cui la società di costruzioni non avesse ottemperato a quanto pattuito.
L’ASSEGNO A GARANZIA
I lavori commissionati però non sarebbero stati eseguiti e l’acquirente, sentendosi truffato, ha agito per la risoluzione del contratto tentando vanamente di incassare l’assegno, risultato impagabile per mancanza di autorizzazione e dei fondi necessari.
La vittima, quindi, ha tentato di avviare anche un’esecuzione forzata sui beni dell’imprenditore che, con più operazioni negoziali, sarebbe riuscito invece a sottrarre all’azione le sue disponibilità immobiliari di maggiore pregio.
In altri casi, sempre per la mancata realizzazione di lavori da parte del costruttore, il denaro corrisposto dagli acquirenti, a seguito di svariate diffide, sarebbe stato restituito “fittiziamente” con degli atti transattivi sottoscritti dalla società fallita che, trovandosi in uno stato di forte dissesto, non era in grado di onorare questi accordi.
LA SUPERSOCIETÀ DI FATTO
Le investigazioni, sviluppate in maniera trasversale dai militari delle Fiamme Gialle, fanno ritenere di aver delineato il profilo effettivo di quella che viene definita dai militari come una vera e propria “supersocietà di fatto”, formata dalle due aziende “gemelle”, di cui l’imprenditore si sarebbe servita costantemente per continuare la sua presunta attività truffaldina e per distrarre fondi utili a rimpinguare la massa fallimentare.
Il sequestro effettuato, che ha riguardato specificatamente rapporti bancari ma anche terreni e fabbricati intestati o riconducibili all’imprenditore e al suo presunto prestanome, è la diretta conseguenza della complessa attività eseguita dagli specialisti della Guardia di Finanza.
Le fiamme gialle hanno difatti e puntigliosamente esaminato le movimentazioni dei conti societari e personali dell’imprenditore fallito, esame che si è rivelato un tassello necessario per la ricostruzione della cosiddetta “supersocietà di fatto” e dell’intero sistema che si ritiene sia stato architettato dall’imprenditore per frodare gli acquirenti.
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