Un nuovo studio condotto presso le università King’s College London e King’s College Hospital di Londra, mette in luce un forte pericolo legato all’assunzione di aspirina. La ricerca del team, capitanato dal dottor Sean Zheng, ha analizzato gli effetti di questo comune medicinale sulla salute generale dei pazienti, che non avevano mai ricevuto una diagnosi di malattie cardiovascolari.
«Il nostro studio indica che non esistono abbastanza prove per consigliare l’assunzione di aspirina in una regolare routine nella prevenzione di attacchi di cuore, ictus e morte nei pazienti con problemi di natura cardiovascolare», ha dichiarato il leader dello studio. «Vi è una forte incertezza riguardo a cui che può essere fatto per i pazienti maggiormente a rischio di malattie cardiovascolari e con diabete. Questo studio dimostra che, anche se i problemi cardiovascolari possono essere ridotti in questi pazienti, i benefici sono comunque accostati da un forte rischio di emorragie interne».
L’assunzione regolare di aspirina, secondo dottor Zheng, deve essere frutto di un’adeguata conversazione tra medico e paziente. Entrambi devono avere la consapevolezza che a controbilanciare i piccoli benefici, potenzialmente legati all’assunzione di questo farmaco, vi sono dei grossi rischi. Il team ha analizzato i dati relativi ad oltre 1.000 partecipanti con buone condizioni di salute cardiovascolare, rivisitandoli dopo 12 mesi dai primi test.
Alcuni di loro avevano preso un’aspirina ogni giorno, mentre ad altri era stato somministrato un placebo. Ad un terzo gruppo, infine, non era stato prescritto nessun farmaco. Secondo i risultati, i partecipanti che avevano preso l’aspirina correvano l’11% in meno di sviluppare un problema cardiovascolare rispetto agli altri due gruppi, ma anche il 43% del rischio di più di soffrire di emorragie interne.
Circa una persona su 200, tra quelle che avevano assunto il farmaco, era stata ricoverata per una grave emorragia interna. La ricerca,evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” è stata pubblicata nella rivista scientifica American Medical Association.