Il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia coadiuvato in fase esecutiva dai Nuclei Investigativi di Cosenza, Catanzaro e Lamezia Terme più le Compagnie Carabinieri di Bari San Paolo e Locri, ha proceduto alla notifica di una serie di avvisi di conclusione indagini preliminari nei confronti di 16 soggetti tra avvocati, medici e professionisti nominati consulenti tecnici, ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, false comunicazione all’Autorità Giudiziaria e altro. Reati aggravati dal metodo mafioso.
Si tratta di Andrea Mantella, 46 anni, di Vibo; Silvana Albani, 69 anni, di Camerino; Luigi Arturo Ambrosio, 82 anni di Altilia; Domenico Buccomino, 66 anni, di San marco Argentano; Massimiliano Cardamone, 43 anni di Catanzaro; Sabrina Anna Maria Curcio, 51 anni, di Nicastro; Antonio Falbo, 56 anni di Nicastro; Francesco Lacava, 62 anni di Catanzaro; Santina La Grotteria 46 anni, di Maierato; Francesco Lo Bianco, 48 anni, di Vibo; Sergio Lupis, 71 anni di Canolo; Mauro Notarangelo, 51 anni di Catanzaro; Massimo Rizzo, 56 anni, di Catanzaro; Antonella Scalise, 62 anni di Crotone; gli avvocati Salvatore Maria Staiano, 63 anni di Locri e Giuseppe di Renzo 46 anni di Vibo.
Le indagini hanno accertato un vero e proprio meccanismo facente parte di un più ampio sistema illecito che vede coinvolti medici e avvocati, i quali, attraverso le proprie condotte, si sono adoperati – in molti casi riuscendoci – a far ottenere benefici carcerari ai propri assistiti, esponenti di spicco della ‘ndrangheta, trasgredendo le leggi dello Stato e venendo meno alle regole deontologiche che contraddistinguono le professioni mediche e legali.
Grazie alla collaborazione di Andrea Mantella, uno dei capi emergenti dell’articolazione di ‘ndrangheta “Pardea-Ranisi”, oggi divenuto collaboratore di giustizia i carabinieri sono riusciti a ricostruire la rete di professionisti che si faceva beffa della giustizia. Nei guai è finita anche una clinica sanitaria convenzionata per ospitare detenuti gravemente malati “in realtà sanissimi”, che invece – contrariamente ai doveri d’ufficio imposti dal ruolo pubblico – ospitava veri e propri summit degli ‘ndranghetisti, diventando praticamente una base operativa dove veniva deciso lo sviluppo della Locale di ‘ndrangheta.
La clinica sanitaria in questione era di fatto diventata una sorta di quartier generale della ‘ndrangheta dove venivano fatte riunioni tra gli appartenenti alle varie articolazioni.

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