L’Italia sta vivendo in queste ore un vero e proprio “shock termico”: le temperature stanno crollando gradualmente da Nord verso Sud. Ieri è stato l’ultimo giorno di caldo infernale al Sud, con picchi di +43°C in Sicilia dove Palermo ha raggiunto i +40°C, ma anche di +39°C lungo la costa Adriatica tra Abruzzo, Molise e Puglia. In queste aree lo “shock termico” sarà ancor più netto e clamoroso, perchè il brusco calo delle temperature sarà un vero e proprio tracollo, fino a -20°C quindi venti gradi in meno rispetto a queste ore. E non sarà uno “shock” indolore. Il maltempo che nei prossimi tre giorni (Martedì 25, Mercoledì 26 e Giovedì 27 Luglio) colpirà il Centro/Sud, sarà più estremo perché lo “shock termico” sarà più netto e i mari, caldissimi, alimenteranno l’energia dei fenomeni temporaleschi. Quanto accaduto domenica scorsa a Scilla, sulla Costa Viola (Reggio Calabria) testimonia la gravità che questi fenomeni estivi possono avere nelle Regioni meridionali. Le zone più a rischio nei prossimi giorni saranno moltissime, tra Abruzzo, Molise, Puglia, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. I violenti temporali in arrivo non riusciranno a smorzare la crisi idrica, anzi: aggraveranno ulteriormente la situazione. Una situazione drammatica, anche a causa degli incendi che rendono elevatissimo il rischio idrogeologico. La cenere, infatti, rende impermeabile il suolo che non riuscirà ad assorbire le piogge, lasciando i terreni a secco e mettendo a rischio frane e inondazioni tutte le zone che hanno avuto incendi. Oggi l’ennesimo SOS è arrivato da una rete di ricercatori italiani specializzata sugli incendi boschivi, che invita a interventi tempestivi per il ripristino del “verde” nelle zone colpite dai roghi potenzialmente a rischio idrogeologico. “A livello statistico, in Italia ma anche nel resto del mondo, il legame principale degli incendi è con la siccità“, ha spiegato all’ANSA Giorgio Vacchiano, attualmente ricercatore presso il Centro comune di ricerca della Commissione europea e membro del gruppo di lavoro sulla gestione degli incendi boschivi della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale (Sisef). “Una volta acceso, il fuoco si propaga solo se la vegetazione è secca. Se raddoppia la siccità, raddoppiano anche gli incendi“. Per il ricercatore è sbagliato concentrare tutta l’attenzione sulle “accensioni” dei roghi: “Se il bosco è in salute, reso resistente al fuoco con una prevenzione adeguata, ci potrebbero essere anche migliaia di accensioni, ma pochissimi incendi. E quelli che si verificherebbero sarebbero domabili molto più facilmente e in sicurezza“, sottolinea. Estinte le fiamme c’è poi anche il rischio più grande che incombe per l’uomo: lo “scivolamento del suolo” o la “caduta massi superficiale” sui versanti ripidi, perché non ci sono più “alberi e radici che trattengono il terreno“. Proprio contro il rischio idrogeologico, afferma Vacchiano, c’e’ bisogno di interventi tempestivi, da attuare prima delle piogge di fine estate. In primis “opere di protezione temporanee” per evitare la caduta di massi, e poi i rimboschimenti. Questi ultimi sono una buona soluzione purche’ si evitino quelli “lampo” dettati “dalla scia emotiva“, rimarca. Occorre impiantare specie “in equilibrio con l’ecosistema“, miste, per “creare una vegetazione più varia e stabile” e “seguire il rimboschimento nel tempo“. Stesso tipo di ripristino è indicato per le aree turistiche ridotte in cenere, come la pineta di Castelfusano. Negli altri casi, suggerisce Vacchiano, “è la natura che deve fare il suo corso“. Nella macchia mediterranea, spiega, la ripresa della vegetazione dopo un incendio può avvenire naturalmente in 4-5 anni, al massimo in 10-12. Un processo per lo più da assecondare e, per certi versi, da aiutare, ad esempio non rimuovendo i tronchi bruciati, che “anche se non belli da vedere contribuiscono a stabilizzare il suolo“. Ecco perché il maltempo dei prossimi giorni potrà determinare fenomeni così pericolosi per la pubblica sicurezza e incolumità.
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