L’ASINO PREMIATO

Dopo essere stata messa in ginocchio dalle terribili calamità naturali che avevano duramente colpito le genti e il paese, Agnana era riuscita a risollevare le proprie sorti, diventando una terra florida, nella quale si riponevano grandi speranze di sviluppo economico
nell’intero regno.

Il merito era dei suoi abitanti che, pur nella disperazione più nera, non si erano arresi di fronte alla furia spaventosa del terremoto del 1783, nè dinanzi all’ultima piaga: il violento uragano di quel funesto marzo 1813.

Seppelliti i morti ed il dolore, si erano rimboccati coraggiosamente le maniche e avevano ricostruito l’intero paese.
Ma Agnana poteva andar fiera anche di un’altra fortuna.
Oltre alla forza d’animo dei suoi cittadini, il paese contava, infatti, sulle quattro miniere di carbon fossile, così pregiato, da costituire, ormai da tempo, la principale fonte di ricchezza ed occupazione per tutta la popolazione del circondario.
Tutti i giorni, le maestranze, Agnanesi e non, si cimentavano con la dura vita della miniera.
Scendevano fin nel ventre della terra ed estraevano dalla roccia
grandi quantità di lignite ed antracite che portavano a cielo aperto
con gran fatica, quasi sempre a spalla.
Caricavano il minerale sui carri trainati dai muli e lo trasportavano a Reggio, dove lo avrebbero venduto ai proprietari dei treni a vapore.
I quattro giacimenti minerari di eccellente qualità avevano reso
celebre il paese all’interno del Regno delle Due Sicilie, tanto da meritare
l’onore della visita del re Ferdinando II di Borbone.
Si può ben immaginare la felicità degli Agnanesi che, appresa la notizia, cominciarono ad allestire ferventi preparativi per celebrare
quel momento altamente significativo.

Così, accolto dalla cittadinanza in tripudio, il sovrano accompagnato dalla seconda moglie, Maria Teresa d’Austria, e dal futuro erede al trono, il principe Francesco II, sbarcò a Siderno Marina.
Era il 19 maggio 1846.
Tra le acclamazioni del popolo riconoscente, verso il quale avera
sempre dimostrato, fin dalla sua ascesa al trono nel 1830, indulgenza e bontà, ponendosi addirittura contro le classi borghesi che con disprezzo chiamava “pennaruli e pagliette”, Re Ferdinando, espresse il desiderio di dirigersi subito ad Agnana per visitare le tanto decantate miniere.
In un batter di ciglia, il sovrano e la moglie furono aiutati a montare su due prestanti asini e il corteo reale, con la cittadinanza a seguito, si incamminò verso le ripide montagne.
Entrando ad Agnana, il Re, estasiato dal paesaggio incantevole,
ordinò alla carovana di fermarsi.
Il suo sguardo si allungò fin sulla vetta del Guardia, incorniciato
dai colori unici del mezzodì, seguendo poi il corso del Novito, che
si snodava sul fianco di Agnana scivolando nelle curve dei piccoli
canyon.
Respirò a pieni polmoni quell’aria salubre e pago della vista, dette l’ordine di ripartire.
La carovana si apprestava a riprendere il tragitto, quando l’anziano proprietario del ciuco che conduceva il re si prostrò innanzi a suoi piedi e disse:”Sire, vi giuro che nessuno cavalcherà mai più questo
asino dal momento che ha avuto l’onore di trasportare la vostra Maestà”.
“Le vostre parole mi lusingano buon uomo. Pur, tuttavia, a meno che non ne abbiate un altro, questo serve a voi per spostarvi in paese” rispose il re, facendogli cenno d’alzarsi.
“No, Sire, non ne ho altri e non ho neanche la maniera di procurarmeli, ma non abbiate a preoccuparvi della mia sorte, troverò il mezzo per spostare le mie stanche membra” disse il vecchio.
Il Re, per tutta risposta, prese una borsa piena di monete d’oro e la porse al contadino, disponendo al funzionario che lo seguiva da tergo, l’ordine di assegnargli anche un cospicuo vitalizio. Il vecchio rimase a tal punto sbalordito che, non trovando neanche più verbo da proferire, gli prese entrambe le regali mani e le baciò.
All’asino, se possibile, andò ancora meglio.
Da quel giorno, visse una vita privilegiata rispetto a quelli del suo lignaggio,
ricevendo un pezzo di terreno e una stalla nuova di zecca dove poter scalciare in libertà.
E non fu mai più montato da nessuno.

Tratto da “Febea” di Marina Crisafi.
Scatto di @worldonafork
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