Presentato da pochissimo il libro di Pietro Criaco “Via dall’Aspromonte” edito da Rubbettino. Andrea, un bambino di Africo che racconta in prima persona del suo paese isolato sull’Aspromonte, dove negli anni ’60 non c’è ancora la luce elettrica né un medico per curare la gente. Alcuni paesani, guidati dal padre di Andrea, decidono allora di costruire una strada di collegamento con i paesi costieri poiché essa rappresenta il sogno, l’idea, la sopravvivenza, il tramite per conoscere altra gente e altre culture. Naturalmente ci sono quelli che per motivi diversi si oppongono a questo progetto: il sindaco della Marina perché ha troppi interessi politici e il malavitoso Don Totò che intende mantenere il suo potere sul territorio. Mentre si snodano le vicende legate alla costruzione della strada, Andrea vive i momenti ideali dell’infanzia e dei primi rossori, e comprende, man mano che la storia si sviluppa, che anche quando le speranze sembrano svanire ci può salvare soltanto l’utopia. Romanzo delicato, come lo sguardo del protagonista che si affaccia sul mondo, e malinconico, per la consapevolezza che i problemi del Sud sono quelli di sempre. Una storia ben scritta e coinvolgente che fa emozionare e riflettere.
VIA DALL’ASPROMONTE
Africo è un paese senza strade. Circa trecento anime sono sperse su una montagna ben esposta al sole dell’Aspromonte. Dalla marina ci vogliono sei ore di cammino con gambe ben allenate. Africo troneggia sulla valle, dal fondo della quale, a volte si sente il fiume. Africo è isolato dal resto del mondo e non ha neppure la scuola. Il maestro quando viene, dorme da un suo cugino che abita giù alle case basse. Non ci sono divertimenti e la vita passa come il volo del passero in cerca del cibo. Perché a volte, neanche quello c’è. Sembrerà strano eppure molto spesso, con un pezzo di pane intinto nell’olio, mi son sentito meglio del figlio del re. Viviamo la nostra solitudine come tanti soldati che non hanno nessun’altra patria. Rimaniamo confinati in quest’antro, curiosi di tutto, incuranti del vento che ci spazzola i capelli. Io mi avvicino alla soglia dei tredici anni e non ho mai oltrepassato il fiume. Ho assaporato la libera dimensione della vita tra le pietre e la polvere antica degli anni. Qui ho tremato di paura al racconto degli orchi e dei briganti. In questa piazza ho tirato i primi sassi contro il muro e ho corso a perdifiato con i miei amici. Qui sono nato e cresciuto. In questo posto lascerò il mio cuore. Niente di quanto racconterò gli assomiglierà veramente. Adesso posso appena sussurrarlo: Africo è il mio paese. In questo romanzo sono resi evidenti i temi dell’appartenenza a una terra, il legame fortissimo tra il protagonista e il padre e la forza dell’ideale che non deve morire. In mezzo a questi temi, s’inseriscono la lotta contro l’ingiustizia e la prepotenza, la lotta per vincere l’isolamento e la resistenza ai cambiamenti. Non ci sono gli stereotipi consueti che presentano una Calabria dove non c’è posto per il sogno, la crescita culturale e la voglia di riscatto. Attraverso i personaggi simbolo che animano la storia, c’è spazio per una “visione,” una favola surreale della Calabria sospesa tra il sogno e il Mito. La storia raccontata in prima persona da Andrea parla di Africo, un paese abbandonato sull’Aspromonte. Non c’è la luce elettrica né un medico per curare la gente. Alcuni popolani, guidati dal padre di Andrea, decidono di costruire una strada di collegamento con i paesi della marina. La strada rappresenta il sogno, l’idea che si deve realizzare; è conoscere altra gente, altre culture. Naturalmente ci sono quelli che per motivi diversi si oppongono a questo progetto. Il sindaco della marina ha troppi interessi e si appiglia a cavilli legali, pur di ostacolare i lavori.
Il brigante Don Totò invece sostiene che le tradizioni non si devono perdere e che il progresso le cancellerà. I suoi pretesti, sostenuti anche con atteggiamenti violenti, nascondono invece il proposito di mantenere il suo potere sul territorio. Andrea racconta questi fatti con entusiasmo e passione. Mentre si snodano le vicende legate alla costruzione della strada, lui vive i momenti ideali dell’infanzia e dei primi rossori. Comprende, man mano che la storia si sviluppa, che chi abbandona la propria terra è destinato a non star bene da nessuna parte. Capisce che ci sono valori da difendere e che bisogna lottare per vincere le ingiustizie. L’amore e l’affetto verso il padre, lo convincono che anche quando le speranze sembrano svanite, ci può salvare soltanto l’Utopia.
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