È per me una gioia celebrare questa Eucaristia con voi, carissimi rappresentanti della Guardia Costiera e dei Vigili del Fuoco, nel giorno della memoria della vostra Patrona Santa Barbara. Di questa Santa abbiamo poche notizie storiche. Ciò che con certezza la tradizione ci consegna è che Barbara è una santa martire dei primi secoli della storia della chiesa, vissuta in tempo anteriore all’Editto di Milano (313), che sancisce la fine del conflitto tra l’impero romano e il cristianesimo, la cosiddetta pax costantiniana.

Secondo la tradizione, Barbara è stata uccisa e decapitata da suo padre, che non ne accettava la conversione alla religione cristiana. Fu perciò vittima innocente di un padre-padrone, che considerava la figlia un oggetto di cui poter disporre. Era un ricco pagano. Il suo nome era Dioscuro. Geloso della figlia, a causa della sua straordinaria bellezza aveva deciso di proteggerla dai numerosi pretendenti, rinchiudendola in una torre-prigione. La giovane donna si lasciò attrarre dalla fede cristiana e, all’insaputa del padre, scelse di farsi battezzare. A motivo di questa sua scelta, il padre la sottopose a punizioni e supplizi e il 4 dicembre (non conosciamo l’anno) la uccise. Ma nel compiere tale atto trovò a sua volta la morte colpito da un fulmine. Ragione per cui santa Barbara viene invocata a protezione dai fulmini, dal fuoco e dalla morte improvvisa.
Ciò che fa di Barbara una santa è la sua fede in Gesù. Una fede che non venne meno di fronte alle minacce di suo padre. La ricordiamo ancora oggi e la veneriamo come martire, testimone di una fede solida, che non cede alle minacce. Una fede forte, non di comodo, profondamente radicata in una relazione di amore con Cristo e il Vangelo.
La liturgia di oggi, in questo tempo di Avvento che ci prepara al Natale, c’invita a rinnovare la nostra fede in Dio con uno sguardo rivolto a questa Santa martire, ma anche alla Parola di Dio che ci è stata consegnata. La Parola di Dio è un invito alla speranza in un mondo nuovo, ad accogliere il Signore Gesù che ridona la vista a due ciechi e si presenta come colui che guarisce e illumina il nostro cammino.
Nella prima lettura il profeta Isaia esorta a cogliere la novità di Dio, anche quando in tempi come il nostro la pandemia favorisce la sfiducia, porta al chiudersi in sé stessi e a guardare il futuro con diffuso senso di pessimismo. Il Profeta ci dice a vedere quanto c’è di bello attorno a noi, quello che il Signore è disposto a fare attraverso la nostra collaborazione:

Liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla.

È quanto il Signore è disposto a fare, non senza la nostra collaborazione. Un mondo nuovo è possibile. E il Signore ci indica la strada, dona luce e conforto venendo incontro alle umane sofferenze attraverso la guarigione dei due ciechi, che con grande fiducia gli si fanno incontro, gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». E Gesù apre i loro occhi, li rende capaci di vedere, di relazionarsi con gli altri e con il mondo intero. Tornarono a vivere come torna a vivere chiunque si lascia guidare dalla fede e si rende disponibile a guardare la vita e il mondo con occhi solidali. C’è tanta cecità attorno a noi! Cecità è chiudersi in sé stessi, non vedendo altro che il proprio io, un IO che ha preso il posto di Dio. Cecità è affermare a ogni costo la logica del proprio tornaconto. Cecità è dare valore solo alle cose materiali e a ciò che tocchiamo con mano.

Di ✠ Francesco Oliva – Vescovo di Locri-Gerace

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